Articoli, Diritto alla salute
Stop alle dimissioni facili per motivi di economicità dell’ospedale
Buone notizie!
Con la sentenza n. 8254 del 2 marzo 2011 la Suprema Corte di Cassazione, IV Sezione penale, ha segnato un passo in avanti nella tutela del diritto alla salute.
Il provvedimento è di particolare rilievo, in quanto emesso in un momento storico in cui i necessari tagli alla spesa sanitaria fanno temere, come vedremo a ragione, che a pagarne le spese siano i malati.
All’attenzione del supremo Collegio è stata posta la vicenda di un medico che, seguendo i criteri delle linee guida adottate dall’ospedale (strumento per garantire l’economicità della gestione della struttura), aveva dimesso un paziente dopo nove giorni da un intervento cardiaco perché risultava «asintomatico e stabilizzato».
La stessa notte delle dimissioni, però, l’uomo aveva un nuovo scompenso e, nonostante la moglie e il figlio lo avessero trasportato subito in ospedale, all’arrivo era già in arresto cardiocircolatorio ed i medici non riuscivano a rianimarlo.
In primo grado il medico, che aveva firmato le dimissioni, veniva condannato a otto mesi di reclusione e a risarcire i danni morali ai familiari.
In appello, invece, veniva assolto «perché il fatto non costituiva reato», visto che aveva seguito le linee guida che prevedevano la dimissione del paziente quando si era raggiunta la stabilizzazione del quadro clinico.
La Cassazione ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello gridando che “ a nessuno è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute, né di diramare direttive che, nel rispetto della prima, pongano in secondo piano le esigenze dell’ammalato”.
Si riporta, di seguito, il cuore della parte motiva della sentenza della Cassazione, in quanto, ad avviso dello scrivente, i principi ivi enunciati rappresentano un “faro” a cui tutti gli operatori della sanità dovrebbero rivolgersi per orientarsi nell’esercizio della professione:
“… i principi fondamentali che regolano, nella vigente legislazione, l’esercizio della professione medica, richiamano, da un lato, il diritto fondamentale dell’ammalato di essere curato ed anche rispettato come persona, dall’altro, i principi dell’autonomia e della responsabilità del medico, che di quel diritto si pone quale garante, nelle sue scelte professionali.
Il richiamo al rispetto di quel diritto e di quei principi è assoluto, nella legge, sotto tutti i punti di vista, avendo, peraltro, il primo, rilievo costituzionale ed essendo stato ripetutamente oggetto di interventi del giudice delle leggi che ne hanno ribadito il significato ed il valore sotto ogni possibile profilo.
Nel praticare la professione medica, dunque, il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da esigenze di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge ed alle conseguenti relative responsabilità.
Il rispetto delle “linee guida”, quindi, assunto nel caso di specie quale parametro di riferimento della legittimità della decisione di dimettere dall’ospedale il B. e di valutazione della condotta del medico, nulla può aggiungere o togliere al diritto del malato di ottenere le prestazioni mediche più appropriate né all’autonomia ed alla responsabilità del medico nella cura del paziente.
Nulla, peraltro, si conosce dei contenuti di tali “linee guida”, né dell’autorità dalle quali provengono, né del loro livello di scientificità, né delle finalità che con esse si intende perseguire, né è dato di conoscere se le stesse rappresentino un’ulteriore garanzia per il paziente ovvero, come sembra di capire dalla lettura delle sentenze in atti, altro non siano che uno strumento per garantire l’economicità della gestione della struttura ospedaliera. In ogni caso, non risulta acquisito in atti alcun documento che le riproduca.
D’altra parte, lo stesso sistema sanitario, nella sua complessiva organizzazione, è chiamato a garantire il rispetto dei richiamati principi, di guisa che a nessuno è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute, né di diramare direttive che, nel rispetto della prima, pongano in secondo piano le esigenze dell’ammalato. Mentre il medico, che risponde anche ad un preciso codice deontologico, che ha in maniera più diretta e personale il dovere di anteporre la salute del malato a qualsiasi altra diversa esigenza e che si pone, rispetto a questo, in una chiara posizione di garanzia, non è tenuto al rispetto di quelle direttive, laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente, e non può andare esente da colpa ove se ne lasci condizionare, rinunciando al proprio compito e degradando la propria professionalità e la propria missione a livello ragionieristico…”
No c’è altro da aggiungere!