Salute
Stress da lavoro correlato nelle professioni d’aiuto.
Lo stress lavorativo è il risultato dell’interazione dinamica fra la persona e il contesto in cui questa lavora (Leocata 2011), il rischio psicologico, quindi, deve essere valutato non solo considerando le difficoltà legate all’ambiente o al ruolo professionale, ma anche i fattori personali che possono predisporre alla sofferenza emotiva. Tra questi la manifestazione di una psicopatologia preesistente o di conflitti relazionali (di coppia, familiari o sociali).
La ricerca in ambito psicosomatico (Baldoni 2010), però, ha evidenziato l’importanza di caratteristiche non necessariamente patologiche che influenzano ugualmente l’adattamento lavorativo e lo stato di salute. Tra queste lo “stile di attaccamento”, cioè il modo in cui gli individui vivono le relazioni e organizzano il proprio comportamento per proteggersi dai pericoli.
Ogni relazione umana è influenzata da fantasie, aspettative, risposte emotive, paure e atteggiamenti difensivi. Secondo la teoria dell’attaccamento queste reazioni sono legate a schemi psicologici inconsci costruiti sulla base delle esperienze passate che diventano evidenti, influenzando il comportamento, soprattutto nelle condizioni di insicurezza (stress o pericolo). In ambito lavorativo questa influenza è particolarmente evidente nelle cosiddette “professioni di aiuto”, come quelle svolte da medici, psicologi, assistenti sociali o educatori.
Ogni lavoro espone a condizioni stressanti e potenzialmente dannose, ma in una professione finalizzata all’aiuto di una persona sofferente si presentano delle minacce specifiche: 1) possibilità di una delusione o di un fallimento; 2) timore del confronto con l’altro; 3) paura della malattia, della depressione, della follia, del suicidio, della morte; 4) sofferenza emotiva (depressione, angoscia, rabbia, noia, senso di vuoto, frustrazione) conseguente all’entrare in contatto con gli stati mentali disturbati del paziente.
Questi problemi vengono percepiti soprattutto prima di un colloquio, particolarmente se si tratta di un primo incontro, mentre negli assistiti e nei pazienti, la massima sensazione di pericolo è avvertita durante il colloquio stesso, quando si affrontano argomenti angosciosi oppure per il timore di essere giudicato, di sentirsi colpevole o di scoprire di essere gravemente malato. La relazione di aiuto si manifesta quindi come una condizione di potenziale minaccia sia per l’assistito che per il professionista. In entrambi si attiveranno, di conseguenza, atteggiamenti difensivi specifici in relazione con il proprio stile di attaccamento.
Ricerche controllate hanno dimostrato che le caratteristiche psicologiche dei clinici hanno un’influenza sui risultati terapeutici fino a tre volte superiore a quella di una terapia evidence based, cioè basata esclusivamente sulle linee guida e sui risultati delle ricerche. I medici e gli psicologi con stile di attaccamento “sicuro” sembrano quelli che si adattano meglio alle diverse condizioni cliniche favorendo un esito positivo della terapia.
In realtà, le caratteristiche psicologiche maggiormente evidenziate nelle professioni sanitarie, soprattutto nei medici, sono differenti: tratti ossessivi, scarsa empatia, difficoltà nel provare ed esprimere le emozioni, eccessivo impegno e iperproduttività sul lavoro, ridotta capacità di divertirsi, perfezionismo, dubbi, sensi di colpa, difficoltà nella gestione dell’aggressività, conflitti coniugali e lavorativi, tendenza all’ipocondria e alla manifestazione di disturbi funzionali o di somatizzazione. Sono persone tendenzialmente evitanti e solitarie, che non cercano aiuto per le loro difficoltà fisiche o psicologiche e che frequentemente hanno sofferto durante l’infanzia (eventi traumatici, malattie e lutti di familiari stretti). Tali caratteristiche psicologiche non sono rappresentative della popolazione generale, ma si riferiscono a stili di attaccamento “insicuri” con frequenti traumi o lutti irrisolti.
Come si è detto, i medici e gli psicologi con stile di attaccamento insicuro si rivelano meno efficaci nella relazione clinica. L’atteggiamento di compiacenza, l’evitamento dei conflitti e l’inibizione delle emozioni degli insicuri distanzianti e l’ambivalenza aggressiva o vittimistica degli insicuri preoccupati pregiudicano frequentemente la qualità delle relazioni lavorative, intensificando lo stress e favorendo lo sviluppo di una condizione di burn-out con serie conseguenze sulla salute psicofisica e sulla qualità del lavoro.
I clinici con stile di attaccamento sicuro, al contrario, sono più flessibili e riescono ad avvicinarsi ai bisogni specifici del paziente integrando al meglio le proprie capacità intellettuali e affettive. Ne consegue una migliore qualità della relazione clinica e una maggiore soddisfazione personale del lavoro svolto.
Prof. Franco Baldoni
Medico, Specialista in Psicologia Clinica, Psicoterapeuta, Professore Associato in Psicologia Clinica, Facoltà di Psicologia, Università di Bologna.
Riferimenti bibliografici
Baldoni F. (2010): La prospettiva psicosomatica. Dalla teoria alla pratica clinica. Il Mulino, Bologna.
Leocata G. (2011): “Disadattamento lavorativo: condizioni di rischio, ruoli ed effetti”. In: M. Gallo (a cura di) Stress lavoro-correlato. Guida alle novità per professionisti, aziende e pubblica amministrazione. Il Sole 24 Ore (Suppl), Gennaio 2011, pp. 19-26.