Prevenzione
AIDS – Parte da Roma la rivoluzione
A 30 anni dall’inizio dell’epidemia, le terapie antiretrovirali sono riuscite a cronicizzare l’infezione, rendendo l’aspettativa vita dei pazienti trattati tempestivamente comparabile con quella della popolazione generale: ma la ridotta percezione del rischio favorisce il contagio. In Italia sono stimate da 143.000 a 165.000 persone HIV positive.
A 30 anni dall’esplosione dell’AIDS, per la prima volta si vede all’orizzonte la possibilità di “spegnere” l’epidemia: parte da Roma, dove comincia oggi IAS (International AIDS Society – Conference on Pathogenesis, Treatment and Prevention of HIV Infection) 2011, il più importante appuntamento scientifico a livello mondiale dedicato all’AIDS, la rivoluzione che, unendo insieme farmaci e prevenzione, con un impiego più precoce delle terapie antiretrovirali, permette di abbattere la carica virale delle persone infette, ridurre la carica complessiva di virus circolante all’interno delle comunità e diminuire drasticamente il rischio di trasmissione del virus. E grazie all’avvento di terapie antiretrovirali sempre più potenti, torna d’attualità anche l’obiettivo dell’eradicazione completa dell’HIV.
Questa nuova prospettiva è al centro di un Media Tutorial, realizzato grazie al contributo di MSD Italia, che si svolge con la partecipazione dei principali opinion leader italiani nella giornata inaugurale di IAS 2011, appuntamento che dal 17 al 20 luglio vedrà a Roma circa 7.000 specialisti di tutto il mondo chiamati a confrontarsi sulla prima “patologia globale” a 30 anni esatti dall’inizio dell’epidemia.
Era infatti il 5 giugno 1981 quando dagli USA arrivarono le prime informazioni su alcuni insoliti casi di polmonite in giovani bianchi americani: da allora, l’HIV ha infettato oltre 60 milioni di persone in tutto il mondo, oltre 25 milioni di persone sono morte di AIDS e circa 33 milioni convivono attualmente con l’HIV.
Quindici anni fa l’avvento delle terapie antiretrovirali di combinazione ha modificato il corso della malattia e oggi, almeno nei Paesi a economia avanzata, l’aspettativa di vita di un paziente in terapia è comparabile a quella del resto della popolazione.
“Grazie ai farmaci siamo stati in grado di cronicizzare l’infezione, ma la partita è ancora aperta” – afferma Stefano Vella, Direttore Dipartimento del Farmaco all’Istituto Superiore di Sanità, Co-chairman di IAS 2011 e componente del Comitato Coordinatore – “ci sono segnali preoccupanti che indicano una ripresa delle infezioni: in alcune zone della Francia si registra un’incidenza simile a quella del Botswana, a Washington i numeri sono simili a quelli dell’Uganda. I comportamenti e i contesti sociali agevolano la trasmissione del virus, e la percezione del rischio è bassa. E in Africa e nel Sud del mondo la malattia resta a esito infausto perché la stragrande maggioranza di chi ha bisogno di farmaci ancora non ne ha”.
In Italia sono stimate da 143.000 a 165.000 persone HIV positive e di queste oltre 22.000 con AIDS. “L’AIDS non è affatto sotto controllo” – afferma Massimo Andreoni, Professore Ordinario di Malattie Infettive dell’Università di Roma Tor Vergata – “ogni ora nel mondo circa 200 persone muoiono di AIDS e ogni giorno si verificano circa 7.400 nuove infezioni, ma meno della metà quotidianamente inizia la terapia. La maggior parte dei contagi avviene per via sessuale tra eterosessuali che non percepiscono il rischio nel fare sesso non protetto. E circa la metà delle persone che giungono alle nostre cliniche hanno contemporaneamente la diagnosi di sieropositività e di AIDS, con una grave compromissione clinica”.
È il fenomeno dei late presenters, ovvero persone che si percepiscono immuni e non fanno il test. “Nell’agenda della comunicazione l’AIDS ha subito negli ultimi anni un black-out che ha contribuito a dare forma all’attuale aspetto epidemiologico con cui si presenta l’infezione da HIV” – afferma Marco Borderi, Dirigente Medico I livello U.O. Malattie Infettive dell’A.O. Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna e Direttore HAART – “è cambiato il virus ma è cambiato anche il paziente. Che non percepisce più il rischio e giunge tardi alla diagnosi, con un quadro clinico seriamente compromesso. Ma per fortuna sono cambiati anche i farmaci”.
Ma insieme ai problemi legati alla diagnosi tardiva, i medici devono confrontarsi anche con quelli legati all’aumento della sopravvivenza. La cronicizzazione della malattia ne ha fatto emergere anche aspetti prima poco valutati, come quello infiammatorio. “In passato le manifestazioni cliniche della malattia erano quelle legate all’immunodeficienza, oggi sono soprattutto quelle legate alla senescenza precoce dei pazienti, guidata dai meccanismi di infiammazione cronica e immunoattivazione, con danno a carico dei sistemi di organo”, afferma Andrea Antinori, Direttore Malattie Infettive all’INMI Lazzaro Spallanzani di Roma – “ad esempio a carico del sistema cardiovascolare, con il rischio di infarto o comunque di malattia coronarica o anche di malattia cerebrovascolare. Ma questa infiammazione cronica causa effetti anche su rene, fegato, ossa e altri organi bersaglio. E può essere particolarmente rilevante il danno neurocognitivo”.
Le numerose terapie antiretrovirali oggi disponibili permettono di gestire le comorbilità e di affrontare le diverse tipologie di pazienti, adattando la combinazione migliore al paziente a seconda che arrivi alla diagnosi in fase avanzata o precoce.
“Se il paziente arriva alla diagnosi abbastanza precocemente, non dovrebbe più morire di AIDS. È uscito un lavoro che mostra che se un ventenne si infetta oggi possiamo farlo vivere fino a 69 anni” – afferma Giuliano Rizzardini, Direttore Dipartimento Malattie Infettive dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano – “ma numerosi pazienti giungono tardi alla diagnosi, con infezioni opportunistiche già manifeste e in questi casi occorrono farmaci da subito potenti e rapidamente efficaci per ristabilire ordine. Sarebbe opportuno usare al meglio all’inizio tutte le cartucce buone e poi, ottenuta una buona risposta, passare alla gestione della stabilizzazione del paziente”.
Inoltre la terapia precoce, con l’uso anticipato dei farmaci antiretrovirali, si sta rivelando parte integrante della prevenzione. È questa la “rivoluzione annunciata” nel corso di IAS 2011: una persona la cui carica virale è abbattuta grazie alla terapia farmacologica non infetta gli altri. Con il cosiddetto “effetto di comunità” l’efficacia della terapia sul singolo individuo si trasforma in un’efficacia estesa socialmente. Ma occorre che la persona sia a conoscenza del proprio status sierologico e per questo resta fondamentale il test.
E all’orizzonte si delinea la prospettiva più affascinante: quella dell’eradicazione completa del virus, prospettiva resa più concreta dalla disponibilità di farmaci sempre più potenti ed efficaci come raltegravir, farmaco MSD, capostipite della classe degli inibitori dell’integrasi.
Proprio nel corso di IAS 2011 vengono presentati nuovi dati di efficacia a lungo termine (5 anni) di raltegravir in confronto con efavirenz, che dimostrano come il 69% dei pazienti in terapia con raltegravir abbia mantenuto la soppressione dei livelli di carica virale al di sotto di 50 copie/mL e abbiano inoltre registrato un aumento maggiore dei CD4. Inoltre raltegravir rispetto ad efavirenz associa al dato di efficacia anche una migliore tollerabilità, in particolare rispetto al profilo lipidico. L’aspetto degli effetti collaterali, e quindi della qualità di vita, è ritenuto sempre più determinante in persone che oggi possono e vogliono non solo vivere a lungo ma vivere bene.
Nelle giornate romane in definitiva si celebra il grande mutamento di prospettiva avvenuto nell’arco di questi 30 anni anche grazie al contributo e all’impegno di aziende come la MSD, che ha plasmato l’approccio terapeutico contro l’infezione dell’HIV, mettendo a disposizione dei pazienti i capostipiti di tre delle classi di farmaci antiretrovirali : il primo inibitore della proteasi, il primo inibitore della transcrittasi inversa e – con raltegravir – il primo inibitore dell’integrasi.