Approfondimenti
Polli ed aquile: è solo questione di comunicazione?
Specialmente dopo le tornate elettorali, ma anche durante, si aprono grandi dibattiti sulla comunicazione, il ruolo determinante che questa ha nel veicolare concetti, convincere gli elettori, condurre alla vittoria l’uno o l’altro schieramento. E tutti partecipano a queste diatribe: dalla casalinga di Voghera, agli esperti certificati.
La frase più frequente è “abbiamo sbagliato comunicazione, non abbiamo saputo comunicare”, oppure, in caso di vittoria, “è stato un buon comunicatore”. Quasi che sia solo lo spot a determinare in automatico l’adesione a quell’idea – prodotto, e nulla (o quasi) il prodotto stesso.
E’ un’idea questa che ovviamente viene dalla pubblicità, dove l’aumento delle vendite di biscotti o di lavatrici indica se lo spot è stato convincente ma non dice nulla (e come potrebbe?) della qualità del prodotto (che, si badi bene, non è lo spot).
E quindi c’è da chiedersi: ci si farà un’idea assaggiando i biscotti valutandone bontà, sapore, genuinità o ci intratteniamo solo sullo spot? Sarà il cliente vero o il testimonial (Costner, Banderas, etc.) a decretarne il successo?
Il valore (qualità) del prodotto ha un valore in sé, con o senza pubblicità, altrimenti dobbiamo parlare di indottrinamento e/o di acriticità (stupidità) di chi compra. Può esserci una suggestione che seduce nel breve momento se l’immagine è accattivante, ma poi nel consumatore dovrebbero prevalere, come è giusto che sia, altre valutazioni.
Ma una completa comprensione dell’esito di voto dovrà affrontare anche altri temi. I fattori in gioco sono talmente tanti, complessi, e intrecciati tra loro che ridurre tutto alla semplice “comunicazione” è riduttivo e perfino sbagliato: non è possibile continuare a leggere fenomeni di questa portata con la chiave di lettura “causa – effetto” o “SR, Stimolo- Risposta” come un cane di Pavlov.
E ovvio che le parole usate, i toni, le occasioni, i gesti, le emozioni hanno la loro influenza; ma nelle azioni che ne derivano, cioè il voto, pesano molte altre cose.
Ne dico solo alcune: pesa certamente il fatto che il messaggio reiterato n. volte ha la potenza di accreditare anche una bugia come verità. Pesa moltissimo la cultura di una comunità, piccola o grande che sia. Pesa il fatto che quella cultura riconosca un “tema – valore” piuttosto che un altro, ed usa il voto anche per rinforzare quella cultura -valore. Chi si riconosce in quella cultura – valore (può essere il valore “legalità” o il “clientelismo”) si sentirà rappresentato da chi se ne fa portavoce e ci resterà attaccato con forza, nel bene ma anche nel male. Max Weber lo ha efficacemente dimostrato con il concetto di “affinità elettive” tra tipi ideali, riferendosi all’influenza che alcune idee (fa l’esempio della religione) hanno sui popoli ed anche sui sistemi economici (ad esempio il capitalismo). Insomma tra una comunità e la cultura che vi prevale c’è una reciproca attrazione.
Ci sono ancora due questioni da considerare. La prima: in ogni corso sulla comunicazione si insegna che è corretto parlare di “comunicazione” solo se c’è dialogo a due vie (parlare ed ascoltare): cosa che non fa certo la tv, o il comizio, o l’articoli di giornale, ma forse è più probabile on line (forum, blog, etc.) o meglio ancora parlandosi a tu per tu. Quindi parlare di “comunicazione sbagliata” riferendosi ad una battuta o a un lessico non è corretto. E chi giudicasse solo questi elementi certamente non si avvale di adeguati strumenti di valutazione. Inoltre chi si lasciasse suggestionare da un qualsiasi messaggio trovandolo interessante, accattivante, o per sola curiosità, può comunque tornare indietro alla prima occasione se ritiene di essere stato ingannato.
La seconda: laddove si argomentano temi innovativi, nella forma e nelle sostanza, e soprattutto dove l’esperenzialità non è ancora un dato storicizzato, usando anche un linguaggio (e non dico “comunicazione” per il motivo suddetto) diretto e poco “diplomatico”, non si può ritenere che la scelta di condividere questo “azzardo” sia il frutto automatico solo di una “suggestione” più o meno convincente. Qui entrano in gioco fattori ben più profondi: in primis la propensione o meno alle novità e al rischio che lo distingue. Non dimentichiamo che è proprio la refrattarietà, anzi la paura del nuovo (quello vero, quello che si palesa anche con modalità inusuali), che fa del conformismo la scelta vincente, da sempre.
Come insegna il simpaticissimo cartoon “Galline in fuga” parlare ai polli di un lager di come è bello volare, non può convincerli che sono delle aquile. Mentre invece parlare ai polli solo e sempre il linguaggio dei polli è certamente “rassicurante” e convincente, ma li fa restare polli per sempre.
Ma se tra i polli ci fossero anche delle aquile?