InformApp
Disabilità. Di chi?
Nel disegnare la mappa del tema dell’InformApp di questo numero, l’approccio sociologico è forse uno dei più calzanti per tratteggiare i contorni dei molteplici aspetti che vanno considerati e mi proverò a dimostrare una tesi su quello che, mi si passi il termine, è l’uso sociale della disabilità. Partiamo dal lessico.
Alla parola “disabile” sull’enciclopedia Treccani si legge: “Termine in uso nel linguaggio burocratico, sociologico e anche medico, riferito a soggetti che abbiano qualche minorazione fisica o anche psichica di grado relativamente non grave; sinonimo talora di handicappato”. Alla parola disabilità la definizione assume un carattere più ampio: “Condizione di coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri.”
L’altro termine su cui porre l’attenzione è il suo potenziale contrario: normalità. Sempre su Treccani si legge: “Carattere, condizione di ciò che è o si ritiene normale, cioè regolare e consueto, non eccezionale o casuale o patologico (…)”. In statistica la curva di Gauss, o “curva normale” è, in sintesi, la distribuzione che graficamente rappresenta la maggioranza dei casi. Quindi è la numerosità che produce in automatico “normalità”? Di conseguenza, se una società fosse costituita prioritariamente da persone con disabilità, sarebbe questa la normalità? In effetti è così, se si considera l’estrema varietà di “situazioni disabilitanti”. Infatti si dice “disabilità” e si pensa al simbolo della “carrozzina”, ma è una forzatura, perché di disabilità ce ne sono tantissime che non hanno a che vedere con la deambulazione, come ad esempio la depressione, l’autismo, etc . Poi ci sono tante situazioni difficili e disabilitanti anche senza essere codificate come tali. Sarebbe ora di prendere coscienza che la questione è molto più ampia, complessa e presente, di quanto non si dica. Prova ne è che nel corso degli anni, anche per effetto di cambiamenti culturali, si è passati sostanzialmente da un modello di tipo medico focalizzato sulla menomazione dell’individuo, ad un modello che pone attenzione all’aspetto sociale e alle difficoltà legate all’ambiente; difficoltà derivanti perlopiù da pregiudizio o da inadeguatezza della società. Alcune iniziative normative tentano di correggere alcune “disfunzioni” con interventi a favore dei DA (diversamente abili). Vediamone qualcuno.
In campo lavorativo l’assunzione delle cosiddette categorie protette dovrebbe aiutare l’occupazione. Ma che impatto hanno avuto? E un lavoro purchessia è sufficiente? Possono essere tutti centralinisti e massoterapisti i non vedenti? Le capacità, le potenzialità, possono essere omologate? Chi riesce ad affermarsi al di fuori di questa omologazione lo fa solo in virtù di doti speciali anche di coraggio, caparbietà, risolutezza, ed altissima formazione, come gli atleti paralimpici. E i falsi invalidi? Chi si fa complice di questa iniqua pratica toglie il diritto a chi lo e ne fa materia di clientelismo. Purtroppo questa pratica nauseante, il clientelismo, riguarda tutto il mondo del lavoro, specie la Pubblica Amministrazione. Insomma, affrontare la questione “occupazione” con equità e garanzie è un bene per tutti, anche per i non disabili …
Le barriere architettoniche. La norma che impone l’abbattimento risale al 1989, la L.13, e poi altra normativa prevede anche incentivi economici per raggiungere lo scopo. Risultato: abbiamo città e mezzi accessibili a tutti? Marciapiedi, negozi, stazioni, autobus, treni, spiagge, alberghi, etc. sono adeguati? Tranne alcune eccezioni la realtà che ci raccontano i media è altra. Ma allora l’obbligo in cosa consiste? La stazione ferroviaria di Salerno, ristrutturata qualche anno fa, presenta solo scale, nessuno scivolo, un ingresso con due soli ascensori non sempre funzionanti; la più frequentata libreria di Salerno ha tre piani solo di scale. Ma che dire? Anche il ponte di Calatrava a Venezia ha solo scale. Per i disabili, e solo per loro, alla faccia dell’inclusione, è stata installata in ritardo, una ovovia che consente il trasporto di due persone per volta, solo in alcuni orari della giornata e solo se autorizzate dal personale addetto. Ma abbattere le barriere architettoniche favorisce solo la circolare dei DA o di tutti? Mamme con passeggini, anziani con bastone, turisti con trolley, operai addetti al trasporto merci, anche per loro l’accessibilità gioverebbe: la buona mobilità riguarda tutti, anche i non disabili …
Ed ora l’aspetto tabù della sessualità. Il 24 aprile 2014 è stato approvato il Ddl n. 1442 in materia di assistenza sessuale per persone con disabilità. Potrebbe rivelarsi una delle tante leggi non applicate, ma sarebbe comunque una bella sfida per la società italiana che oscilla tra conformismo e doppia morale, sessuofobia e sessuomania. Assistenza sessuale, educazione all’affettività – corporeità – emotività sono temi per disabili o anche a chi è alle prese con “turbamenti” e/o difficoltà di gestione dell’affettività e degli impulsi? I casi di femminicidio e delle baby – squillo, non ci dice nulla? Ancora una volta non è materia d’interesse per una parte specifica della società, ma per tutti, anche i non disabili …
Infine: è all’attenzione dei lavori parlamentari la proposta di legge denominata “dopo di noi”, che ha trovato una certa mobilitazione anche sui social media, con poca chiarezza sui contenuti della proposta. Dopo una lunga ricerca per reperire il testo ci si rende conto che non riguarda un rafforzamento del welfare ma di proposte, anche confuse, su un fondo per interventi e amministratori di sostegno. Come che sia, anche in questo caso, pensare al “dopo” è un problema di tutti, anche dei non disabili ….
Spero di aver dimostrato che i temi ritenuti attinenti i DA, in realtà riguardano l’essere umano nella sua complessità e intensità di sfaccettature. Ogni aspetto della vita umana non ha bisogno di essere catalogato perché trovi la giusta collocazione. Smettiamola di pensare a leggi speciali per i DA e pensiamo ad un diverso modo di vivere. I problemi vengono dalla società e da come questa si organizza e si struttura intorno all’individuo, da come risponde ai suoi bisogni e alle sue fragilità: con rigidità, ottusità e cecità oppure con apertura, comprensione e flessibilità. E’ questa società ad essere invalida ed inabile ad accogliere la varietà di genere umano che la costituisce e la rende anche così ricca. Dismettiamo il metro dell’economicismo e tutto verrà più facile, quasi naturale. Le vere barriere sono i nostri muri mentali.
Concludo con una scena che ho osservato, due anni fa, a Manhattan. E’ solo un racconto senza altre considerazioni: conosciamo tutti le contraddizioni di cui è ricca l’America. Sono su un bus diretto a Ground Zero per andare a visitare il 9/11 Memorial Center. E’ primo pomeriggio di un aprile a tratti piovoso. Lo skyline disegnato dall’architettura dei grattacieli lascia senza fiato: vetro e acciaio illuminati da sprazzi di luce e poi, in una rapida successione, avvolti da una leggera nebbiolina. Il bus è nei pressi del World Financial Center, poco lontano c’è Battery Park e le rive dell’Hudson. Una leggera pioggia bagna le foglie minute e luminose degli alberi che contornano le strade di New York. L’autobus fa una fermata, l’autista si alza dal posto di guida, si dirige verso il posto dietro di lui, saluta l’uomo anziano seduto, prende la carrozzina e lo accompagna sul marciapiede. Ero seduta solo un posto dietro, e non mi sono accorta né della sua salita, nè della carrozzina. L’autista risale sull’autobus che riprende il suo tragitto. Anche il viaggiatore appena sceso continua la sua strada: forse andrà a visitare un amico o un museo, farà shopping o semplicemente tornerà a casa.
Il presente articolo è presente alle pagine 8 e 9 della pubblicazione numero 20 di Informa – Ecologia del benessere. Scarica il PDF delle pagine o sfogliala da qui: