Approfondimenti
Benessere e fame nel mondo
Lo slogan usato ad Expo 2015 “nutrire il pianeta, energia per la vita”, rimanda ai grandi temi della sostenibilità, della biodiversità, dei mutamenti climatici, ma soprattutto pone il problema della fame nel mondo e dell’equità della ripartizione delle risorse.
La crisi che dal 2008 ha colpito anche le cosidette “società del benessere” ha prodotto un sostanziale livellamento verso il basso anche di strati sociali intermedi. Pur tuttavia l’occidente, se pur con minori certezze rispetto al passato, resta un ambito geografico dove l’indicatore di benessere si può estrarre anche dalle patologie prevalenti: obesità, anche dei minori, diabete e comunque tutte le malattie connesse ad una alimentazione eccessiva o mal calibrata.
Proprio per questo non possono lasciare indifferenti le immagini e i video delle molteplici campagne di fundraising per combattere il problema della fame nel mondo, specie nei paesi dell’Africa.
Sono immagini strazianti di bambini nudi, denutriti, defedati, spesso in braccio a madri nemmeno disperate ma solo rassegnate. Immagini che spezzano il cuore. Vanno in onda in orari dove l’attenzione è massima che spesso coincide anche con gli orari dei pasti. L’effetto non può che essere una grande pena, compassione, dolore ma anche senso di colpa. Sembrano dire: ma come puoi stare lì seduto in un posto comodo, al riparo e al sicuro, magari anche mangiando un lauto pasto, mentre poche migliaia di kilometri più in là c’è tutta un’altra realtà? Non ti senti responsabile anche tu?
E’ vero nessuno dovrebbe sentirsi esente dalla partecipazione a tanto dolore. Una società non può dirsi tale se nella sua globalità non è in grado di garantire livelli almeno accettabili per tutti, anche per i meno fortunati. E nascere in un Paese o in un altro è veramente solo una questione di fortuna.
Premesso questo vorrei controbattere: mi sento fortemente partecipe sì di questo dolore, ma responsabile no, proprio no.
Il pensiero, guardando a quelle immagini, va ai posti dove queste tragedie si perpetuano da decenni e da secoli. Sono paesi quasi sempre ricchissimi soprattutto di risorse del suolo. L’Africa ne è un esempio. Nigeria, Algeria, Libia, Camerun, Gabon, sono i paesi più ricchi di idrocarburi, pozzi petroliferi e metalli ferrosi. Nel Sud Africa troviamo le maggiori miniere di diamanti.
Tutto il business è gestito da grandi multinazionali che non hanno portato sviluppo e benessere a quelle terre che anzi hanno depredato, impoverito e inquinato.
L’immane tragedia della loro povertà, quindi, non è una sciagura naturale e senza colpevoli, come può
esserlo un terremoto. Qui la povertà ha connotati e cause precise: cieco sfruttamento operato da grosse multinazionali di paesi ricchi, corruzione di governi locali, iniqua distribuzione delle risorse. Risultato: miseria e fame per la popolazione che ha conosciuto solo povertà e flussi migratori nel tentativo si sottrarsi a queste tragedie non solo di fame ma anche di guerre, alimentate proprio da queste sperequazioni. L’ingiustizia vera è questa.
Guardando quelle immagini di fame, la pietà si mescola alla rabbia pensando che quel poco che io posso fare, seppur apprezzabile e doveroso, è tanto sì, ma è nulla al confronto di quanto potrebbero, e dovrebbe fare, chi queste tragedie le provoca e le alimenta.
Perché insieme alle campagne di sensibilizzazione non fare anche campagne di conoscenza e proiettare insieme ai visi smunti e sofferenti dei bambini anche quelli di chi lì va a mangiarsi la loro ricchezza? Perché non chiedere alle aziende petrolifere e a tutte le multinazionali che sfruttano quei territori, veri colossi di capitali e risorse, di ripagare adeguatamente quanto prelevato e sottratto a questi Paesi devolvendo una parte dei loro introiti alle Associazioni e/o ONG che si impegnano nelle campagne di fundreising per risollevare dalla fame quelle popolazioni?
Loro sì, devono sentirsi in colpa. E questa azione non si potrebbe nemmeno definire beneficenza, ma riparatoria di un torto, un preciso dovere.