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Essere felici “Nonostante” i problemi – L’insegnamento di Viktor Frankl
Viktor Frankl, viennese, medico e psichiatra, ebreo, trascorse tre anni in quattro lager nazisti diversi, nei quali tutta la sua famiglia venne sterminata. E fu proprio nei lager che codificò i principi della logoterapia (il suo approccio terapeutico). Egli notò che anche in quella situazione di assoluta deprivazione di tutto, l’uomo poteva mantenere un suo margine di libertà, quello di decidere con quale atteggiamento affrontare il proprio destino.
Secondo Frankl esiste una “volontà di significato” autonoma, che non dipende da noi: essa è talmente incarnata nella nostra condizione umana che non possiamo smettere di “cercare un senso”. Anche quando l’uomo crede che la vita non abbia più un senso, in realtà glie ne sta dando uno (anche se negativo).
Ecco alcuni principi cardine del suo pensiero:
• ogni individuo è unico, irripetibile, insostituibile e ogni vita contiene compiti e incarichi unici che
vanno scoperti e a cui si deve rispondere; è la ricerca dei propri incarichi e la risposta che si dà loro, che crea un senso;
• il “senso” è una cosa molto specifica e cambia da individuo a individuo e da momento a momento;
• la felicità, l’appagamento, la pace della coscienza, sono il risultato di questa ricerca, che va affrontata “nonostante” le difficoltà che si affrontano.
“Nonostante” è una parola fondamentale nel pensiero di Frankl. La felicità non è assenza di difficoltà o di problemi, ma va ricercata “nonostante le difficoltà e i problemi”.
Anche la libertà – per Frankl – è una “libertà nonostante la dipendenza”: non può concepirsi una libertà senza dei vincoli o legami dai quali si possa ergere. Anzi questi legami e questi vincoli possono essere dei “trampolini di lancio” per la libertà: basti pensare alle conquiste spirituali che una persona può fare quando le condizioni ambientali o biologiche lo costringono a delle gravi limitazioni.
La libertà non va intesa quindi come libertà “da qualcosa” (vincoli, problemi..) ma è “libertà per”, per essere liberi di scegliere quale ruolo avere nella vita se di vittime o di giocatori.
La vittima pone attenzione solo a fattori che non è in grado di influenzare, vedendo se stessa come colei o colui che soffre le conseguenze di circostanze esterne. Essa mantiene la propria autostima proclamando la propria innocenza. Ma se non ci sentiamo parte del problema non potremo neanche essere parte della sua soluzione.
Il giocatore invece pone la sua attenzione su fattori che è in grado di influenzare. Non per questo ignora quelli esterni, ma vede se stesso come qualcuno che è in grado di “rispondere” alle circostanze che gli capitano. La sua autostima si basa sul cercare di fare ogni cosa al meglio. Vittima e giocatore in realtà sono due archetipi. E ognuno di noi può esercitare il ruolo di vittima in alcune situazioni o in alcuni ruoli, e il ruolo di giocatore in altre.
Può essere utile allora domandarsi: “Qual è la sfida che sto affrontando ora?”
E: “In che modo posso esercitare il ruolo di giocatore nell’affrontarla?”
Alda Merini affermava che: “Il grado di libertà di un uomo si misura dall’intensità dei suoi sogni”.
Daniele Mattoni, Coach PCC e Formatore, autore di “Le 10 vie alla felicità. Da Socrate al Dalai Lama e oltre” edito da Franco Angeli, responsabile didattico del Master in Coaching evolutivo di ICTF