Approfondimenti
Addio al servizio sanitario nazionale
ADDIO AL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
come lo abbiamo conosciuto
Dopo la puntata di Report di lunedì 5 dicembre 2022 che ha realizzato un ottimo servizio sulla sanità italiana, possiamo dire con certezza che il S.S.N. disegnato nel 1978 (L.833) non esiste più e tutto fa presagire che non esisterà mai più. Infatti tutte le riforme successive alla L.833 hanno svolto una lenta ma incessante azione di demolizione. Anche i cambiamenti previsti con il PNRR (case e ospedali di comunità) ci portano su quella strada, come ha dimostrato appunto Report.
Si potevano intravedere le prima avvisaglie già a partire dagli anni 90, con il D.Lgs 502/92 (e segg.), la cosiddetta aziendalizzazione. Quello fu il punto di svolta. Con l’alibi dell’efficientamento del sistema si introducevano criteri e principi propri del management e del marketing (budget, costi-benefici, concorrenzialità, benchmark, ecc.) che nulla hanno a che fare con la salute. I pazienti, non più cittadini titolari di diritti indiscussi (universalità, eguaglianza ed equità di accesso alle prestazioni), diventavano “clienti”, con tutto ciò che questo significa, inclusa la capacità di spesa.
Sempre nell’ottica dell’efficientamento si chiudevano reparti, ospedali, si riducevano posti letto e perfino i pronto soccorso, con l’alibi di ridurre i doppioni; ma c’erano davvero? E se sì, chi li aveva creati? Modificando il rapporto popolazione/posto letto, però, si eliminavano anche presidi in territori geograficamente disagiati. La coperta era corta e anche i cittadini dovevano fare sacrifici (se potevano pagando, oppure morendo). Una realtà drammatica soprattutto per le Regioni sottoposte a Piani di rientro. Ma, stranamente, era meno drammatica per le strutture accreditate, se non per un limite annuale al “monte prestazioni” (es. la Campania).
La domanda è: com’è che nonostante i tagli al budget il privato “accreditato” (quello a spese del SSN) regge ed anzi fiorisce? Se i tagli al personale nel pubblico sono stati uno tsunami (e la pandemia lo ha reso evidente fino ad essere causa di morte per pazienti e personale) come mai i professionisti hanno retribuzioni più allettanti nelle strutture “accreditate”? Bisogna dedurre che la pioggia (dei finanziamenti) cade scarsa sul pubblico ma abbondante sul privato? Nei primi anni 2000 il nord (es. Lombardia) cominciava ad attrezzarsi per “parità di diritto di scelta tra pubblico e privato”, mentre al sud questa era già una realtà, ereditata da un antico passato. Era facile prevedere che presto le diversità si sarebbero livellate verso il basso.
I dati riportati da Report qualche sera fa lo hanno certificato. Il n. di Pronto Soccorso sul territorio nazionale sono passati da 782 (1997) a 410 (2020). Tutte le Regioni hanno dimezzato o peggio: Liguria da 23 a 9; Emilia Romagna da 44 a 20; Campania da 59 a 43; Basilicata da 12 a 2. Hanno tenuto solo Toscana, da 34 a 32 e Umbria, unica che è salita da 7 a 9.
Arrivati a questo punto è chiaro che non si tornerà mai più indietro. E’ evidente che allo stato attuale decide la “fortuna” chi potrà curarsi, cioè chi vive nel posto giusto, con strutture ancora efficienti. La prossima tappa, però, sarà passare direttamente al portafogli o alle assicurazioni. Ma è bene chiarire che le assicurazioni (il modello americano, per intenderci) non garantisce nulla perché non è il cliente a scegliere l’assicurazione ma il contrario. Già, perché un’assicurazione non ha alcun vantaggio da un cliente – paziente anziano, con molte patologie gravi o croniche. Però niente paura! per questi sventurati restano i “residui” del pubblico, cioè quel che resterà di strutture oramai fatiscenti, pronto soccorso- lazzaretti, personale scarso, stressato e demotivato. Oppure si tornerà al modello “opere pie”. Che Dio ce la mandi buona.