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Assomensana invita a ridere
Fare facce buffe allo specchio, tenere una matita tra i denti o non pronunciare parole negative: sono alcune delle strategie proposte dai neuropsicologi per indurre a un sorriso, elisir di lunga vita mentale, come affermano le ricerche in materia.
Il riso fa buon sangue? Senz’altro fa una “buona mente”…. almeno secondo uno studio recentemente presentato all’Experimental Biology Meeting di San Diego e ripreso dai neuropsicologi di Assomensana (www.assomensana.it), associazione non profit che si occupa di anti-aging dell’intelletto.
«Gli autori della ricerca sono partiti dal presupposto che il cortisolo, l’ormone dello stress, ad una certa età può danneggiare l’apprendimento e la memoria», spiega il professor Giuseppe Alfredo Iannoccari, presidente dell’Associazione.
Per far tornare il sorriso del “buon umore”, quello vero che abbassa i livelli di cortisolo e ristabilisce una visione positiva della vita, si possono seguire i 10 suggerimenti degli esperti di Assomensana:
- abituarsi a trovare almeno due spiegazioni “alternative e bizzarre” ai diversi eventi;
- giocare a eliminare dal proprio lessico le parole negative come “no”, “non”, “senza”, “nessuno”, “negativo”, “pochino”, “dramma”, “disastro”, “tragedia” ecc. e cercare di spiegare lo stesso concetto utilizzando un linguaggio costituito da parole dal contenuto positivo come “certamente”, “con piacere”, “grande”, “favorevole”, “d’accordo” ecc.;
- rievocare una situazione divertente e ripensarla nei minimi dettagli, ricordando anche come ci si sentiva in quei momenti, senza fare altre riflessioni o esprimere giudizi;
- guardarsi allo specchio e fare cinque facce strane, mantenendole per 10 secondi ciascuna;
- mettere una matita tra i denti e guardarsi allo specchio per 20 secondi (l’attivazione della muscolatura facciale, costretta ad assumere l’atteggiamento del sorriso, è sufficiente per comunicare al cervello che stiamo sorridendo, modificando positivamente lo stato d’animo);
- circondarsi di persone positive e divertenti, giocando ad assecondarle, entrando in sintonia con il loro modo di esprimersi;
- quando si guarda una fotografia, immaginare tre possibili interpretazioni buffe che possono spiegare la situazione rappresentata;
- scegliere una parola e associarvi cinque caratteristiche positive;
- guardare il bicchiere “mezzo pieno” (in realtà il bicchiere è sempre pieno: oltre al liquido, l’altra metà è riempita dall’aria!);
- ricordarsi che le persone con un buon umore, ottimismo ed emozioni positive vivono di più e si ammalano di meno!
Ma dal punto di vista scientifico, come si spiega il fenomeno, studiato dall’Experimental Biology Meeting di San Diego? Risponde il professor Iannoccari: «I ricercatori hanno provato a vedere come l’ilarità influenzi i livelli di cortisolo circolanti. Allo scopo, sono stati selezionati due gruppi di adulti: uno di persone sane e l’altro di soggetti affetti da diabete. Tutti i partecipanti all’esperimento hanno guardato, ogni giorno, per 20 minuti, un video divertente mentre un gruppo di controllo non l’ha fatto. Nei diabetici, che hanno “gustato” i filmati comici, è stata rilevata la maggior riduzione dei livelli di cortisolo nel sangue, mentre negli spettatori sani si è riscontrato un miglioramento nei test di memoria. Invece gli appartenenti al gruppo di controllo non hanno manifestato miglioramenti rispetto a tutti i parametri».
Insomma, una bella risata, a cadenza quotidiana e costante, potrebbe combattere non solo lo stress ma anche la smemoratezza e il declino mentale, come conferma il neuropsicologo: «Il meccanismo del processo è facilmente intuibile e ormai conosciuto: lo stress, e quindi l’ormone, il cortisolo, ad esso collegato, ostacola la costruzione e l’immagazzinamento dei ricordi, riducendo così le potenzialità della memoria. Dal punto di vista scientifico, il cortisolo interferisce con il buon funzionamento delle cellule dell’ippocampo, la struttura del cervello che ha il compito di conservare i ricordi a lungo termine».
Il legame tra l’ilarità e la “mente sempre giovane” è stato evidenziato anche da Matthew Ansfield della Lawrence University che ha condotto uno studio analogo al precedente, ma di “segno” contrario: 160 persone di entrambi i sessi hanno assistito, questa volta, a film di horror e, durante le proiezioni, sono stati sottoposti al controllo di quante volte sorridevano. «Ansfield ha notato che più il film era raccapricciante, più ogni spettatore tendeva a sorridere, durante la visione, sia che fosse solo o in compagnia», riferisce Iannoccari, «Il sorriso durante i film ad alta tensione è stato spiegato con la necessità da parte dei soggetti di contrastare lo stress provocato da un disagio interiore».
In conclusione, gli studi suggeriscono che il sorriso aleggia sulle labbra sia in condizioni piacevoli sia in quelle spiacevoli e che, in entrambi i casi, migliora lo stato d’animo e la salute dell’organismo. Tuttavia a volte il sorriso serve per nascondere le reali emozioni che un individuo sta provando; avverte il presidente di Assomensana: «Il fatto può capitare in ambito lavorativo quando una persona è triste per motivi personali ma è costretta a sorridere al cliente o al collega. Oppure il “falso sorriso” può apparire nelle relazioni interpersonali quando si sorride “senza emozione” ad un conoscente incontrato per strada. Ma questo atteggiamento, quando è forzato, comporta una “dissonanza emotiva” tra lo stato d’animo reale e quello manifestato all’esterno, che a lungo andare comporta sofferenza e frustrazione. E’ quindi meglio non elargire sorrisi a “32 denti” ma limitarsi ad un accenno di sorriso, che può bastare per mantenere una cordiale relazione».
Rosanna Ercole – Giornalista