Editoriale, Sociale, Tempo libero, Uno di noi
Con gli occhi del bambino.
L’aereo si prepara al decollo, inizia a rullare sulla pista, prende velocità, il turbinio dei motori si fa sempre più forte e nell’abitacolo scende un silenzio assordante; in questa fase del volo anche il viaggiatore più incallito vive quell’attimo di suspense che gli toglie il respiro. Il velivolo stacca il muso e un attimo dopo anche il carrello lascia il suolo, c’è ancora tensione nell’aria e ad un certo punto a romperla è lo straordinario “YAHOOOOO” di mia figlia Alessandra.
La prima sensazione, colto da leggero imbarazzo, è quella di rimproverarla, mi fermo per tempo e mi chiedo: ma perché riprenderla? Dov’è che ha sbagliato? Lei è una bambina, per fortuna non ha subito ancora tutti quei condizionamenti che portano noi adulti a sviluppare paure, ansie ed atteggiamenti stereotipati che ci accompagnano nel corso della vita.
In un attimo ho realizzato che l’atteggiamento da correggere non era il suo ma il mio, stavamo per raggiungere Disneyland e se solo avessi riguadagnato un po’ dello sguardo con cui i bambini guardano il mondo e gestiscono le relazioni interpersonali mi sarei divertito alla grande.
E allora al lavoro; mi metto ad osservarla non più con gli occhi severi del genitore ma con quelli del discepolo che segue il maestro per soddisfare la sua sete di conoscenza.
A scuola della lingua mondiale
In fila al check-in aveva stretto amicizia con Giovana, una bimba brasiliana di sette anni che, mi piace credere, la legge dell’attrazione ha fatto sedere accanto a lei, non parlano una parola dell’altrui lingua ma comunicano con la stessa empatia di due amichette di scuola, a loro non interessa la razza, la religione, il colore politico o il ceto sociale, loro hanno la capacità di godere ed arricchirsi del calore umano, con ogni probabilità non si incontreranno mai più, ma che importa, è così bello godersi l’attimo e quest’arte nessuno più dei bambini la conosce.
Solo una stanza?
Arriviamo all’albergo, il Cheyenne, ci assegnano la camera e stanchi ci affrettiamo a raggiungerla. Entriamo e come sempre faccio quando viaggio per affari o per formazione, cerco cassetti per riporre oggetti, armadi per gli indumenti e asciugamani per la doccia, custodisco tutto a dovere e mi sdraio un attimo sul letto perdendo di vista il “maestro” che in un batter d’occhio mi riporta alla lezione: “papà ma hai visto che bella questa lampada a forma di stivale? E questa a stella? E i disegni dei cavalli sul muro? E guarda la moquette, porta il simbolo dell’albergo…”. In un attimo mi avrà elencato una decina di particolari a cui non avevo dato importanza ma che ad osservarli infondevano a quella stanza un non so che di magico.
E’ nei dettagli che è nascosta la magia e molto spesso la praticità o la fretta di noi adulti ce ne priva.
Eccoci finalmente al parco, è incantevole e rimango estasiato di fronte a tanta bellezza, resto immobile a contemplare l’ingegno e l’impegno umano occorso a realizzare tutto ciò. Convinto che risieda li la magia, mi giro a guardare Alessandra, ho lo sguardo compiaciuto dello studente preparato e che sa di fare bella figura ma lei ancora una volta mi riprende e mi fa: “che fai li incantato, è dentro che si vive lo spettacolo. Vieni!”.
Una frustata che mi riporta alla luce una vecchia cicatrice: un amico, tempo fa, mi regalò un vaso realizzato da maestri vetrai di Murano, avevo quasi paura di toccarlo tanto era bello e l’avrò spostato mille volte nella ricerca di un posto sicuro dove riporlo, tanto che un giorno, per una banale distrazione, lo ruppi, prima ancora di averne goduto delle fattezze.
La lezione finale.
Quante volte restiamo immobili davanti ad una piacevole emozione avendo quasi paura di viverla, preoccupandoci di quando finirà, di quello che accadrà, di cosa penseranno gli altri. Così, mentre i condizionamenti muovono i fili delle nostre azioni, essa svanisce lasciandoci con l’amaro in bocca.
I bambini no, a loro non importa di ciò che pensano gli altri, loro non si fermano alla contemplazione, loro vogliono viverle le emozioni non studiarle, se le godono appieno, non le temono, le aspettano, se le cercano.
Picasso soleva dire: “A dodici anni disegnavo come Raffaello, ma mi ci è voluta tutta una vita per imparare a disegnare come i bambini”. Osserviamoli bene i bambini, forse non diventeremo dei geni ma potremo fare della nostra vita un capolavoro.
Dario Rago