Nutrizione, Salute, Sociale
Dalla scoperta’ del fuoco alla moderna globesità
Siamo quello che mangiamo e la storia lo dimostra.
Se ci pensiamo bene, siamo gli unici essere viventi sulla faccia della terra, ad aver appreso la conoscenza della trasformazione dei cibi, dell’agricoltura e della pastorizia; una sorta di addomesticamento della natura e processo alchemico che da magico e stupefacente ci ha fatto piombare in una sorta di crisi di consapevolezza, dei giorni d’oggi.
Siamo stati in grado non solo di stravolgere gli alimenti, ma anche l’intero ecosistema, e se potessimo paragonarci al nostro percorso sulla terra, la storia del cibo è lunga come quella dell’uomo.
Facendo un grande salto nel passato, in origine, l’uomo primitivo viveva in perfetta armonia con il suo ambiente, seguiva le ciclicità, cercava di adattarsi, patendo e soffrendo la fame, vittima del suo ambiente.
In seguito, con la sedentarizzazione dell’uomo, nacquero invece nuovi vincoli e di conseguenza nuove esigenze.
Grande importanza fu la scoperta del fuoco, da parte dell’uomo Erectus durante il Paleolitico inferiore.
Forse da questo momento in poi, cambiò qualcosa nella storia dell’umanità, l’uomo stava per diventare padrone della natura, comprensibilmente incantato e meravigliato dalle sue nuove acquisizioni tecniche, non sapendo che millenni dopo, ne avrebbe pagato care conseguenze.
Il fuoco nutre anche la mitologia di tutto il mondo, più vicino a noi si ricorda il mito greco di Prometeo, un titano che ruba il fuoco agli Dei per darlo agli uomini ma che poi viene punito da Zeus, ma di racconti ne è pieno il mondo.
All’uomo il fuoco occorre per scaldarsi, fondere metalli, rappresentando energia, potenza, azione ma prima di tutto egli si serve di esso per cuocere alimenti, altrimenti non commestibili, nutrendosi meglio, egli si rafforza, attraverso il fuoco, egli si fa padrone;
la conquista va di pari passo all’uso di un linguaggio più complesso, ecco come parola e fuoco portarono ad una rapida evoluzione del cervello umano.
Fu da allora che, esso infatti si separa definitivamente dal mondo animale e con la cottura e la manipolazione dei cibi nasce anche una maggiore consapevolezza.
Molto presto l’uomo impara a produrre il proprio cibo, si passa dalla raccolta ad un’agricoltura ben organizzata, dalla caccia alla pastorizia.
Mangiare si trasforma pertanto in un fatto culturale, non solo perciò un’esigenza biologica, iniziano a rompersi gli equilibri ecologici, ambientali ed economici.
Ci basti pensare che l’invenzione dell’agricoltura, in cui l’uomo acquisì man mano, competenze sempre nuove, fu un’operazione che sconvolse tutto, dapprima in maniera dolce sino ad arrivare all’aggressività sul territorio che ha contraddistinto gli ultimi tempi.
L’uomo, avendo la possibilità di nutrirsi meglio, si moltiplica e si espande, richiedendo però più spazi terreni.
Impara bene a maneggiare gli alimenti che da materie prime, trasforma in prodotti di costruzione.
Una rappresentazione perfetta di tale processo, è data dal pane, che attraverso la materia prima del frumento, la lavorazione e la cottura diventa una pagnotta.
E’ stato proprio il pane, per molti secoli, simbolo dell’uomo civile; si pensi all’Odissea in cui il mangiatore di pane era sinonimo di uomo.
Anche le civiltà classiche, nel mediterraneo, hanno sempre rappresentato pane, vino e olio, come cibo moderno, che rappresenta l’uomo evoluto; sono infatti dei prodotti costruiti, non reperibili in natura.
Gli uomini sono animali sociali come cita Aristotele, nati per mangiare insieme, svolgono in collettività gran parte delle attività, spinti dalla voglia di muoversi, incontrarsi, scontrarsi, trovare dei riferimenti stabili.
L’atto del mangiare non rappresenta solo cibarsi ma è anche un gesto, un messaggio, un mezzo per esprimere valori sociali e ruoli.
Se riflettiamo, un posto a capotavola esprime in effetti, il ruolo familiare o sociale, come anche l’essere “serviti per primi” o avere determinate parti di cibo più selezionate rispetto ad altre.
Durante tutto il medioevo, ci si serve delle mani per cibarsi, nascono pertanto, i primi decaloghi delle buone maniere, manuali di galateo, unica eccezione è l’uso del cucchiaio per i più benestanti per servirsi dei pasti liquidi.
L’utilizzo della forchetta arriva in Italia attorno al 300 d.C., per la diffusione della pasta, quindi in stato di necessità e di possibilità, la si adopera.
Si assiste ad una prima Globalizzazione alimentare, un sistema di consumi non più circoscritto, ma costituito da scambi, questa non è infatti una moderna tendenza dei giorni nostri, ma un processo già conosciuto in antichità che nel corso dei secoli è riuscito a far proprie le personalizzazioni, determinate combinazioni e preparazioni.
Attraverso lo scambio, si conosce un popolo e ci si mette a confronto, si dice che si conosce un popolo mediante il suo cibo.
Durante il Medioevo, iniziano a giungere a noi, con le invasioni, consuetudini nordiche, proprie delle popolazioni germaniche, legate a stili di vita completamente distanti da quelli mediterranei, civiltà nomadi, grandi consumatori di carni
Si sa, tutto ciò che è nuovo, da una parte viene temuto ma dall’altra viene ritenuto affascinante e attraente; I barbari medievali si possono descrivere un po’ come gli americani di oggi, e diventano il nuovo modello da imitare, anche nelle loro abitudini alimentari.
La religione cristiana diventò quella egemone, custode della sacra alimentazione romana; olio, pane e vino come simboli di eucarestia cristiana, segno di prestigio, fu proprio attraverso questi alimenti, che si promosse l’immagine identitaria religiosa e alimentare.
Con l’avvento dell’islamismo, tra il settimo e il nono secolo, vedremo però, una frattura non solo religiosa e territoriale, ma anche alimentare.
Nella civiltà islamica infatti, viene bandito il vino, la carne di maiale e il pane perde di importanza in quanto non più considerato sacro.
Modi di mangiare ci comunicano l’appartenenza di classe e ceto sociale; colui che mangia molto rappresenta il prestigio e la ricchezza.
Con l’età delle esplorazioni, alla fine del 1400, assistiamo alla conoscenza di nuovi mondi e nuovi cibi.
Veniamo a contatto con la patata, il mais, il caffè, il cacao, la canna da zucchero ma anche con il pomodoro;
questo nuovo assorbimento alimentare diede vita ad un ’interessante processo; si utilizzano infatti i nuovi alimenti, che mimano però “ricette” facenti parte della tradizione; prende vita la polenta di mais, già preparata con il farro o la salsa di pomodoro (le salse erano molto utilizzate, sin dai tempi antichi, mediante l’utilizzo di verdure, pesce…)
Nell’800 il sovrappeso inizia ad essere oggetto di studio e cure mediche.
I cibi iniziano a subire il processo moderno di raffinazione, alimenti però destinati alla classe benestante, rendendoli sicuramente più appetibili ma anche meno nutrienti.
Dopo la seconda guerra mondiale, assistiamo al miracolo economico italiano, che si traduce anche in una produzione massificata, in cui tutto è alla portata di tutti.
La cucina e l’automazione sempre più dilagante, portano l’uomo a vivere senza fatica fisica, esponendolo alle prime malattie del benessere; stipsi obesità e diabete.
Dapprima sottovalutate, poi messe sotto la lente di ingrandimento, con un’attenzione rivolta ad una sana e corretta alimentazione, rivista infinite volte nel corso degli ultimi decenni.
Oggigiorno a fronte di questa consapevolezza, il cui luccichio delle infinite possibilità, buone quanto pericolose per la nostra salute e per l’ambiente, è tornato un interesse per un’alimentazione sana, equilibrata, ben calibrata che si rivolge all’integrale, quindi un ritorno alle origini, alla cucina che un tempo veniva battezzata come “Povera”, alla riscoperta dei grani antichi, alla voglia del genuino, dei vecchi ritmi e cicli naturali; una chimera da raggiungere.
Questo processo inarrestabile ha portato la dilagante piaga dell’obesità, campanello d’allarme che ha diffuso a macchia d’olio un vero e proprio movimento salutista ed ecologico.
Un neologismo che ben descrive i tempi attuali, prende il nome di Globesità: una sorta di epidemia globale che designa l’obesità dilagante in molte zone del mondo, drammaticamente in crescita anche nei paesi a basso e medio reddito, proprio per la facile acquisizione di prodotti scadenti e grassi a basso costo.
L’Oms nel 2002 l’ha definita un’epidemia estesa, uno scenario generalizzato in cui domina la propensione al fast food, accessibile a tutti.
Il poco tempo a disposizione e l’estrema facilità a reperire cibi di facile e veloce ingestione, hanno di certo peggiorato questa tendenza.
Un Concetto, su cui dobbiamo rifarci, fu esposto per la prima volta nel 1987 nel rapporto di Brundtland, documento rilasciato dalla commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, che parla di uno sviluppo che soddisfi si, i bisogni del presente, senza compromettere però la possibilità delle generazioni future.
Noi consumatori siamo i principali protagonisti dell’andamento del sistema, scegliendo di alimentarci in maniera consapevole, possiamo spostare l’economia verso delle scelte sostenibili in quanto consumo, richiesta e offerta, si spostano di pari passo.
Anche l’emancipazione femminile ha contribuito ad uno sviluppo di cibi pronti, in quanto né l’uomo né la donna in società hanno più ruoli e compiti definiti, un comune denominatore è certamente il poco tempo a disposizione.
Tutto questo cibo di facile ingestione, acquisizione, sponsorizzato e scontato, spesso dà vita ad una diffusione massiva e pericolosa per l’ambiente, che va ad ingrassare non solo noi ma anche le bocche degli industriali.
La conoscenza è davvero l’arma più efficace, conoscere i fattori economici, culturali e ambientali, consente infatti un contrasto alle nuove tendenze consumistiche e di degrado ambientale, quindi informarsi è un atto d’amore che facciamo verso noi stessi, verso l’ambiente e le generazioni future.
Dott.ssa Stefania Bonanno – Antropologa, nutrizionista, naturopata