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Empowerment. Responsabilità condivisa
Su wikipedia alla parola empowerment si legge: «processo di crescita, sia dell’individuo sia del gruppo, basato sull’incremento della stima del sé, dell’autosufficienza e dell’autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portare l’individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale».
Si direbbe, quindi, un processo non solo auspicabile ma quasi necessario affinché ognuno prenda consapevolezza del suo essere individuo “unico e irripetibile”. E conquistare (o accrescere), di conseguenza, la sua autostima e la capacità di muoversi agevolmente nel mondo. Proviamo a fare qualche esempio.
Il concetto di empowerment viene spesso usato nell’assistenza sanitaria per sollecitare nei pazienti piena consapevolezza, ed indurre azioni attive favorevoli alla salute e al processo di cura. É anche questa la funzione del “consenso informato”, quel documento che attesta che il paziente ha ricevuto tutte le informazioni utili a comprendere il suo stato di salute, cosicché, attraverso la condivisione, anche il processo terapeutico venga percepito dal paziente come il più giusto per sè. Peccato che il più delle volte (oserei dire sempre) viene usato come un foglio che il paziente deve firmare per assumersi la responsabilità di interventi od esami rischiosi. E quindi, di fatto, serve al medico (o alla struttura) per scaricare eventuali responsabilità.
Altro esempio: la comunicazione “unidirezionale” che caratterizza quasi tutti i colloqui medici. Il paziente dice «in queste situazioni mi sento così e così» oppure «ho la sensazione che questo farmaco mi dia questi sintomi» ma se quello che dice non rientra nel “protocollo” l’interlocutore non lo ascolta per nulla oppure lo inquadra come “visionario” o “depresso”.
Si potrebbe ribattere che il “sapere” ha una sua ragion d’essere e non tutti hanno la “competenza” per giudicare e valutare fatti e situazioni. Verissimo. Per questo nel campo della salute si comincia a parlare anche di E.P.S. cioè di Esperti per esperienza, cioè di quei malati, o familiari di malati cronici, che hanno maturato “sul campo” una conoscenza esperienziale diretta che può contribuire al sapere teorico.
La salute è l’esperienza più importante di ognuno: è un ambito troppo importante per non volerlo assumere anche come impegno personale e non delegarlo totalmente ad altre mani. Ma quelle mani hanno comunque un grave e grande compito incluso quello di condividere il loro sapere e non imporlo. E’ un bilanciamento di comunicazione e responsabilità delicatissimo, mai concluso, ma proprio per questo dobbiamo tenerlo sempre presente. E, quando necessario, ricordarlo anche ai nostri interlocutori.