Approfondimenti
I mali “gravi” del nostro tempo
Il primo dei mali “gravi” di cui abbiamo già parlato nei precedenti articoli è il pensiero unico . Per definizione “lapalissiana” il pensiero se non è critico, non è. La “gravità” è data dal fatto che l’assuefazione, soprattutto inconsapevole, danneggiano le nostre capacità di pensare e ragionare inducendo un deterioramento del cervello e della logica.
Dopo il pensiero unico l’altro male grave è il politically correct e l’ipocrisia che vi si annida. Ambiti privilegiati sono i media, la comunicazione pubblica, la politica e… la pubblicità.
La pubblicità, come sempre, ha il pregio-difetto di rappresentare una sintesi di quello che si muove anche negli altri ambiti e nella società in generale.
Si sarà notato che, sempre più spesso, negli spot compaiono: persone di colore o di varie etnie (razze non si può più dire); più donne in sovrappeso o con difetti evidenti (finito il tempo delle bellone?); uomini intenti a faccende domestiche (bucato, cucina, pulizie, “mammo” ecc.); donne dedite a hobby pericolosi-maschili (guidare auto sportive); coppie omosex; persone di genere indefinito; donne e uomini con rughe, capelli grigi, disabilità, ecc. Insomma in questi spot sfila una lunga teoria di modelli politically correct che vanno a sostituire i vecchi, creando nuovi clichè.
“Meno male!” si dirà. Già… se non fosse che tutto è velato da una spessa coltre di ipocrisia. Infatti le aziende che pagano fior di pubblicitari per questi spot spesso sono le stesse che trattano i dipendenti come animali legati a un guinzaglio elettronico per monitorare tempi di lavoro e pause. Oppure impongono accordi alle donne affinché non facciano figli; licenziano masse di lavoratori per delocalizzare in paesi dove i diritti dei lavoratori non esistono e i diritti civili sono l’ultima delle priorità.
L’altra ipocrisia si palesa quando le dive ai festival o in tv si mostrano in tutto il loro splendore: senza età, in perfetta forma, ed è ovvio che le faccende domestiche non sono un loro problema (remenber Naomi Campbell…).
Ma cosa c’è di male a voler mostrare una società al passo con i tempi e più giusta? Nulla, se non fosse per l’ipocrisia e l’evidente manicheismo che vi si spaccia: di qual il bene, di là il male, tutto semplice, chiaro e netto.
Ma una società in cui i “fondamentali”, cioè i diritti sociali, non sono garantiti (rispetto del lavoro, equa distribuzione della ricchezza, salari dignitosi, servizi accessibili ed adeguati alle esigenze delle persone, uomini e/o donne) concentrare l’attenzione su altri aspetti vuol dire solo operare una distrazione -deviazione dai fondamentali.
Il politically correct, quindi, si rivela per quello che è: una misera operazione di facciata ipocrita. Ma ci si deve chiedere: è forse proprio questo lo scopo che vuole veicolare una pubblicità (e tutta la società che rappresenta, inclusa la politica) tanto invasiva e pervasiva? Abituarci, cioè, a non vedere la realtà vera, ma mistificarla, illudendoci di vivere in un solido nulla ipocrita?
Ci fermiamoci qui, ma con un invito. Chiunque faccia un piccolo esercizio di pensiero critico: individuare nel prossimo spot pubblicitario (o altrove) cosa non quadra tra il vecchio cliché preso di mira e il nuovo che si vuol promuovere. Un occhio critico ci impiega pochi secondi: cronometrate il vostro tempo.
Illudendoci di vivere in un solido ipocrito nulla, così ben descritto dal concetto di “bipensiero” di Orwelliana memoria?