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Il corpo
Nasciamo con il corpo: cominciamo ad esistere quando il nostro corpo diviene entità autonoma; e la nostra maturazione psichica cresce insieme alla consapevolezza di avere un corpo.
Quando con il gesto voglio indicare “me stessa” porto la mano sul mio corpo; e quando ad un bambino voglio insegnare la distinzione tra lui e gli altri mentre dico “tu” ed “io”, indico il suo e il mio corpo. E’ il corpo la prova ineccepibile della nostra stessa esistenza. E man mano acquisiamo la certezza di avere un’ identità.
Quando soffriamo per un dispiacere è anche il corpo che patisce, quando siamo felici è sorridendo o danzando che esprimiamo la gioia. Ciò che diciamo lo affermiamo o lo neghiamo con il corpo. Secondo gli psicologi della comunicazione umana, il capitolo della comunicazione non verbale è quello più ampio. Rappresenta il 93% delle nostre comunicazioni ed interessano il corpo nelle sue varie componenti: posture, espressioni facciali, tono di voce, abbigliamento, etc. La comunicazione verbale, cioè il contenuto delle parole, ne rappresenta solo il 7%.. La comunicazione on line senza emoticon (surrogato dell’espressività corporea) perderebbe una parte di senso. Le parole devono essere confermate dal corpo per essere credibili. Imparare a recitare vuol dire non tanto imparare le battute, ma come renderle credibili con la voce, la gestualità, le azioni; essere attori è saper usare il corpo in palcoscenico. Il mimo non usa parole, parla solo col corpo.
E se “la vita quotidiana è una rappresentazione” come sostiene il sociologo Erving Goffman [1], nei palcoscenici e nei retroscena della nostra recita giornaliera vigono le regole che si rifanno al corpo anche come “metro di misura”. Con il corpo, infatti, misuriamo distanze da e verso gli altri. La prossemica sancisce regole che ognuno di noi conosce d’istinto, anche senza averle studiate; infatti prima di oltrepassare la zona sociale (compresa tra i 2 – 3 metri di distanza tra gli interlocutori) per entrare in quella personale o intima, attendiamo dall’altro una qualche autorizzazione. Tutti conosciamo l’imbarazzo che percepiamo in un ascensore quando lo spazio angusto impone distanze non scelte.
Il concetto di corpo, quindi, contiene un substrato denso di significati, anche simbolici, che affondano le loro radici in molteplici aspetti: culturali, psicologici, antropologici, storici, sociali.
Il concetto di corpo ha un significato molto speciale anche nel diritto. Si pensi all’habeas corpus, quella locuzione secondo cui nel Common Low (sistema del diritto anglosassone) all’imputato veniva garantita l’integrità del proprio corpo ed il diritto alla difesa contro azioni arbitrarie e lesive della sua libertà. Il principio dell’habeas corpus è uno dei cardini della Magna Charta (1215) e, considerando quanto la tortura fosse a quei tempi una pratica comune, si comprenderà la portata innovativa dell’habeas corpus. Diverrà, infatti, uno dei capisaldi su cui si fondano, ancora oggi, i diritti universali di umanità. Ripreso dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) e dall’art. 27 della Costituzione Italiana, plasmerà il nostro comune sentire relativamente ai diritti di inviolabilità che ogni essere umano, anche il più colpevole, deve vedersi riconosciuto in una civiltà che vuol dirsi tale.
Oltre quelli di natura giuridica, significati simbolici attribuiscono al corpo un senso di “sacralità”, quasi una “custodia – scrigno” atto a contenere un elemento prezioso che va preservato da violazioni. Nella cristianità, infatti, il corpo è involucro dell’anima, la massima espressione di sacralità, quella che collega a Dio e che a Lui si ricongiunge dopo la morte. Il cattolicesimo indica l’ostia consacrata con la locuzione “Corpus Christi”, e una delle principali festività cattoliche è quella del “Corpus Domini”.
Anche in altre culture e religioni il corpo ha la sua importanza anche se in una visione diversa, talora esasperata: si pensi, infatti, con quanto rigore la cultura islamica preservi e celi il corpo, specie quello delle donne, fino a segregarlo nel burka, vera e propria prigione di stoffa. E si pensi, allo stesso tempo, all’uso del corpo nelle operazioni suicide dei kamikaze. Per le culture occidentali, formatesi sull’ habeas corpus, riesce difficile comprendere questo uso “controverso”, talvolta contraddittorio del proprio e dell’altrui corpo.
Il corpo è anche fonte di conoscenza e sperimentazione, non meno che destinatario di cure da parte della scienza. Il modello biomedico, quello dominante tra le varie medicine, pone la sua attenzione unicamente al corpo. Il suo paradigma (fondato sulla dicotomia tra mente e corpo e sul riduzionismo fisico)[2] di fatto ha estromesso la psiche e la socialità da ogni merito sia eziopatogenico che terapeutico, compromettendo l’interezza del mondo interiore ed esteriore al corpo umano. Inoltre l’intendere il corpo come una “macchina” i cui pezzi “guasti” necessitano di riparazione ha generato anche un sapere esasperatamente specialistico. Possiamo supporre che il recente successo delle medicine cosiddette “olistiche”, non sia solo una moda: forse rispondono al bisogno di ricomporre un corpo “sezionato” come su un tavolo autoptico. Michel Foucault[3] sosteneva, infatti, che la conoscenza medica si è formata proprio sui paradigmi appresi nelle sale settorie. Scrive Gerardantonio Coppola: “E così, dentro l’organizzazione, come dentro l’ambulatorio medico, si fa entrare solo il corpo, tenendo fuori l’anima. L’organizzazione, come il corpo umano, si trasforma in macchina, dove regnano indisturbate la tecnica, la tecnologia e l’economia”[4].
Da sempre, quindi, il corpo ha avuto una indiscussa centralità. Eppure in questi ultimi decenni in cui la virtualità sembra aver preso il sopravvento sulla realtà possiamo avere anche alias o avatar che interagiscono per noi, perfino per fare sesso, che sembrerebbe impossibile senza corpo. E tuttavia, mai come in questo tempo, siamo concentrati tanto sulla fisicità “residua” per esaltarne solo l’aspetto esteriore. Lo scopo è quello di modificarlo/sottometterlo perseguendo canoni di bellezza, gioventù, identità più o meno variabili utilizzando un vasto dispiegamento di forze anche tecnologiche e scientifiche. Con modalità, talvolta violente, il corpo è sottoposto ad una vera e propria «costruzione»: diete ferree, esercizio fisico e farmaci per “scolpirne” la struttura; piercing, scarnificazioni, tatuaggi estesi; chirurgia plastica per ogni sezione del corpo; terapie massicce, anche chirurgiche, per cambiare sesso; interventi per modificare le caratteristiche somatiche tipiche della razza (famoso il caso Michael Jackson)
… continua a leggere l’articolo a pagina 8 e 9 della nostra rivista
Franca Grosso – Sociologa
[1] Erving Goffman: La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, 1959
[2] 3 Salute e Medicina in J. C. Alexander, K. Thompson: Sociologia, il Mulino, 2010
[3] Michel Foucault: Nascita della clinica, Einaudi, 1969
[4] Gerardantonio Coppola: Sanità sanz’anima, Ananke, 2013