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Il Natale e i bambini di Aleppo
Se dovessi dire, nell’imminenza del Natale e a conclusione di questo 2016, quali foto mi sono rimaste impresse, non avrei dubbi. Sono quelle di due bambini: Aylan Kurdi e Omran Daqneesh.
Il primo è morto lo scorso agosto sulla spiaggia di Bodrum in Turchia, nel tentativo di scappare, con il padre e gli altri fratelli, dalla guerra in Siria.
Ma ancor di più mi turba quella di Omran Daqneesh il bambino di cinque anni estratto vivo dalle macerie in seguito ad un bombardamento di Aleppo, nello stesso periodo. E dovessi dirne la motivazione non saprei…
Di Omran c’è il video che ha ripreso la sequenza del suo salvataggio dopo il bombardamento aereo su Qaterji, un quartiere di Aleppo. Innanzitutto colgo il contrasto tra la pseudo “normalità” della vita di civili, bambini inclusi, che convivono forzatamente con l’eccezionalità e la follia della guerra. Nelle riprese si vede il soccorritore che porta via il bambino dalle macerie di un palazzo, in una nuvola di polvere tra l’agitazione e la confusione generale. Eppure Omran ha gesti semplici, appena accennanti che secondo me, dicono tutto. Si fa portare in braccio dal suo soccorritore e si sorregge a lui senza aggrapparsi, senza agitarsi, senza piangere. Quando il soccorritore lo porta nell’ambulanza, lo siede sul seggiolino, e lo lascia solo lì, il volto coperto di polvere, fumo e sangue, lui è sofferente sì ma se ne sta buono, solo un po’ imbronciato, si guarda appena intorno, si tocca il viso, guarda le mani sporche di sangue, cerca di pulirsi un po’ ma non ha reazioni di spavento per l’abbandono, nè di paura che ci si aspetterebbe da un bambino qualsiasi… Ma Omran non è un bambino qualsiasi. Questi non sono “bambini qualsiasi”. I gesti sono i gesti disarmanti e drammatici della “sua”, della “loro normalità”.
Giungono ancora in questi ultimi giorni altre notizie di altre stragi simili, di altri morti, di altri bambini morti e altri salvati le cui reazioni, a differenza degli adulti, è la stessa. La chiamano “learned helpnessless”, impotenza appresa, che sviluppa chi, ripetutamente sottoposto ad eventi traumatici, “impara” a non reagire, a non ribellarsi.
Ecco, questo mi stupisce, mi intenerisce, e mi indigna allo stesso tempo: la crudele normalità che questi bambini hanno dovuto accettare. Una “normalità” che nessun bambino potrebbe concepire nel nostro occidente. E fortunatamente, aggiungo.
Eppure non c’è nessun motivo perché questi bambini debbano subirlo. E’ questo il danno irreparabile, oltre la perdita della vita, che si può fare ad un bambino, mentre muove i primi passi nel mondo. Rubargli l’essenza stessa della sua umanità.
Chiediamoci se non sono anche questi bambini, così feriti e dilaniati nella loro umanità, la matrice che sviluppa tanta crudeltà nel terrorismo che insanguina anche le nostre strade… anche in questo Natale. Perché ogni Natale, in ogni parte del mondo dovrebbe essere un momento di serenità ed amore.
Anche per questo motivo sentiamo il bisogno di augurare, non solo ai bambini di Aleppo, ma a tutto il mondo un Natale di pace.