Motivazione
La comunità che cura: il contributo della comicoterapia
Non esiste una medicina valida universalmente: la medicina è un sistema di credenze e saperi da cui derivano le categorie sociali della salute e della malattia. La malattia quindi non è un evento biologico oggettivo, ma il prodotto di una cultura e per essere compreso deve essere calato nel contesto di appartenenza.
L’antropologia definisce biomedicina la nostra medicina ufficiale: la malattia viene localizzata nel corpo, considerato oggetto fisico, non sono prese in considerazione come cause o elementi di trattamento la situazione psico-emozionale del paziente, o il piano energetico, che viene ignorato e considerato fuori dai canoni della scientificità.
Inoltre, la persona con un disagio fisico vive uno stato di “alienazione” al momento della diagnosi, quando entra nel sistema di credenze della medicina, proposto come assoluto e scientificamente valido; uno stato di “passivizzazione” nella fase del trattamento attraverso i farmaci, poiché il paziente non ha competenze per decidere la sua cura e, in caso di ricovero ospedaliero, uno stato di “spersonalizzazione”, di uscita cioè dal contesto sociale di appartenenza.
I familiari e gli amici non sono chiamati a partecipare al processo di guarigione di un loro caro da una malattia: al contrario, vengono tenuti in disparte, eccetto per le ore in cui il reparto è aperto al pubblico.
Il malato diventa così asociale, privato cioè della sua socialità.
In altre culture non è così!
I medici della tradizione orientale ritenevano che fosse la natura stessa a compiere tutto il lavoro necessario alla guarigione, e non il medico. Il buon senso suggeriva di per sé che il compito del medico fosse quello di mantenere la buona salute dei suoi pazienti, e al contrario di ciò che avviene nella nostra cultura, la parcella dovuta al medico veniva sospesa se la persona si ammalava o peggiorava.
La malattia, in altre società, ha il significato sì di uno squilibrio nel rapporto con se stesso, con la natura, con il cibo ingerito o con il gruppo d’appartenenza, ma non necessariamente negativo. Il sintomo infatti, viene accolto come messaggio da decifrare ed interpretare, incredibilmente pieno di senso, quasi un valore, perché rappresenta il tentativo di trovare un nuovo equilibrio.
Lanternari ci dice che “… nelle società tradizionali spesso una malattia fa da passaporto per conseguire un nuovo status sociale, quello di sacerdote, guaritore, sciamano”. Viene quindi considerata un’occasione privilegiata di crescita. La comunità tutta partecipa a questo passaggio di trasformazione attraverso rituali di gruppo che diventano veri e propri riti di passaggio, momenti di “sospensione” che accompagnano il malato da una situazione ad un’altra. I parenti, tutta la comunità del villaggio diventano il contesto terapeutico nel quale decodificare, trattare e superare la malattia restituendo la persona ad un nuovo ruolo sociale.
Nella nostra cultura abbiamo un esempio di mobilitazione positiva della rete di comunità: i clown Dottori e i volontari del sorriso sono operatori che praticano “riti di sospensione”. Colorati, fuori dal contesto, ma paradossalmente in esso integrati, cercano di trasformare le emozioni, di trattare terapeuticamente la metafora della malattia attraverso la metafora del gioco, della gag comica, della magia. Traghettano il paziente di qualunque età, i suoi parenti ed il personale presente, da una sponda all’altra, dalle emozioni della malattia al sentirsi vitali, energici, ottimisti e pieni di speranza, come se si fossero riacquistati i poteri per stare bene.
È un esempio, uno dei tanti modi per attraversare lo specchio, per incontrare altre leggi.
Possiamo scegliere in ogni nostra azione dove collocarci, nel momento in cui decidiamo quale strategia di cura adottare. Se restiamo accanto a noi stessi, nel capire il messaggio della malattia, se chiamiamo la nostra rete d’amore, le persone che ci vogliono bene e a cui vogliamo bene alla mobilitazione, allora avremo la possibilità di sospendere l’interpretazione della malattia e l’identità del malato, trasformare il processo di guarigione in una grande opportunità di crescita… e ringraziare!
Federazione Ridere per Vivere
Vittoria Dacunto
Psicologa, Clown-dottore