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Malasanità: la responsabilità è anche delle persone
Il nostro Sistema Sanitario occupa il 2° posto al mondo per capacità di risposta assistenziale universale in rapporto alle risorse investite. Tale dato è stato fornito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ed è frutto di un’indagine che ha messo a confronto sistemi sanitari in tutto il mondo.
A fronte di questo importante riconoscimento, a trent’anni dalla Legge n.833/78 che lo ha istituito fondandolo sulla universalità dell’assistenza, sulla solidarietà del finanziamento e sull’equità di accesso alle prestazioni, sono più che evidenti le criticità del nostro sistema: sprechi, inefficienze, episodi di corruzione, mancanza di trasparenza, difficoltà di accesso ai servizi, carenza di controlli efficaci.
Al riguardo sono sconcertanti gli elementi che scaturiscono dal rapporto, elaborato nel 2008 dall’Associazione Cittadinanza attiva, per monitorarne lo stato di “salute”.
Mettendo da parte quanto emerso sulla sempre più marcata differenza tra le Regioni del Nord rispetto a quelle del Sud e sugli arcinoti problemi della burocrazia soffocante, che costringe i malati, anche gravi, ad attendere lunghissime code per essere ricoverati o, addirittura, per essere soltanto visitati, mi ha particolarmente colpito che tra le principali cause della malasanità fosse segnalata la “scarsa umanizzazione”, intesa come difficoltà nel rapporto medico-paziente, come poca attenzione alla cura della persona ed al rispetto della dignità umanità.
Dai numeri, dal deficit, dagli esuberi, l’attenzione viene spostata sulle persone, sui loro rapporti, su quello che viene fatto dai singoli!
Penso che il rapporto abbia messo a fuoco il problema dei problemi: il “sistema” (sanitario, politico, giudiziario ecc.) è fatto di persone e sono queste che lo rendono quello che è!
E’ ovvio che le difficoltà ci sono e spesso derivano da un’eredità a cui non abbiamo potuto rinunciare, questo, però, non esime ciascuno di noi dal dovere-potere di svolgere il suo ruolo sociale al 100%, di migliorare, con il suo piccolo o grande contributo, la comunità in cui vive e svolge la propria attività (famiglia, azienda, ospedale ecc.).
A quanti in questo momento stanno pensando che l’impegno del singolo individuo non possa avere effetti su di un sistema già malato, vorrei consigliare di riflettere e, soprattutto, di sperimentare l’effetto amplificato e travolgente di un’azione corretta.
Voglio concludere con un interrogativo: quali dati potrebbe riportare il prossimo rapporto di Cittadinanza attiva se i medici, gl’infermieri ed i manager sanitari mettessero il paziente al centro delle loro attenzioni, se questo fosse considerato una persona e non un numero, se i ricoveri e le operazioni fossero fatte per guarire e non per incassare maggiori contributi dallo Stato, se le medicine fossero prescritte per curare e non per ricevere “sponsorizzazioni” dalle case farmaceutiche, se le liste di attesa non fossero continuamente modificate per far posto agli “amici”, se ai malati fosse regalato un sorriso e con esso una speranza ?