Newsletter subscribe

Approfondimenti, Salute

MEDICAL FAILS. Medical Gambling?

Posted: 27/03/2025 alle 5:02 pm   /   by   /   comments (0)

Su alcuni canali TV vanno in onda alcuni docu-film dal titolo INGEGNERIA degli EPIC FAILS.  Si esaminano casi di grandi progetti di ingegneria la cui progettazione ha fallito creando disastri o situazioni molto gravi. Potrebbe essere solo “catastrofismo” se non si cercassero anche cause e motivi del fallimento per capire e prevenire analoghe situazioni.

Ci si può chiedere: ma questa autoanalisi viene fatta anche in altre discipline? come la medicina ad esempio. Una brevissima ricerca in rete ha prodotto diversi articoli che evidenziano, però, una certa ambiguità: si incontra più facile il termine “errore” che “fallimento” che, ovviamente, hanno due significati diversi. Uno ha il senso di “episodi specifici”, relativi perlopiù a singoli casi; l’altro ha il senso di “errore sistemico” (bias). Nella prima casistica potrebbero rientrare anche quelle vicende eclatanti riportate dai media relative alla chirurgia estetica, e non solo. Ma è la letteratura sui “fallimenti” il focus più interessante. Da una rapida carrellata random in rete troviamo: artroscopia del LCA, chirurgia del ginocchio, spalla, colonna vertebrale, ma anche trapianti, settore oncologico, malattie rare.  Di seguito qualche link di questi articoli:

La chirurgia di revisione nei fallimenti dopo ricostruzione artroscopica del LCA
Revisioni LCA al vaglio: i casi sono sottostimati?
Il fallimento di una protesi articolare: la chirurgia di revisione. Quando ne ho bisogno?
Chirurgia della spalla: tra il 7 e il 15% torna sotto i ferri

Nei suddetti studi si riportano statistiche che considerano anche il “doppio fallimento”, cioè le recidive e/o il tentativo di rimediare ad errori o malfunzionamenti ex post che, però, anche questi non risolvono (o solo in minima parte) il problema di partenza. Curiosamente queste statistiche hanno, più o meno, lo stesso tasso di “insuccessi” che si aggira intorno al 10%. In molti di questi articoli il capitolo “cause del fallimento” analizza molte variabili che vanno dall’errore medico, alla tecnica/tecnologia usata,  alle condizioni del paziente pre e post intervento (terapie errate, fkt non appropriate, tabagismo, o l’aspetto psicologico (il paziente non collabora).  Dato che la medicina non è l’ingegneria (che pure fallisce) e non tratta materiali inerti ma esseri umani unici e irripetibili, è ovvio che l’insuccesso è sempre dietro l’angolo.

 

 

 

 

 

Considerando solo la casistica degli “interventi di elezione”, dove si può esercitare una “scelta” (nelle urgenze sono praticamente atti quasi obbligati) vengono spontanee alcune domande:

  1. Come vengono fatti questi studi? Il campione è proporzionato alla popolazione reale? Items e variabili sono sufficienti e coerenti col fenomeno? Sono interventi in SSN o in privato? I risultati (outcomes) sono analizzati dal punto di vista della scienza medica autodifensiva, o in funzione del benessere del paziente? C’è un fondato sospetto che la casistica sia ben più sostanziosa di quanto si dichiara. Infatti in un articolo articolo che riguarda specificamente gli interventi chirurgici alla colonna vertebrale si calcola che di Failed Back Surgery Syndrome (FBSS) ne soffrirebbe una popolazione che va dal 10%  al 40% dei pazienti operati (circa 500.000 in Europa, anno 2012). Quindi abbiamo una stima di una nutrita fetta di pazienti (quasi la metà) che vengono sottoposti ad una procedura che è scientemente destinata al fallimento. Che non vuol dire solo NON soluzione del problema, ma peggioramento generale della qualità di vita, disabilità e altre problematiche create dagli interventi. (Per inciso, a propositori indagini, la nota metodologica dei più famosi sondaggi  TV, di interessa un campione di 1200 persone intervistate per una popolazione  di 59 milioni di Italiani).
  2. Quando in sede di valutazione e visita di routine vengono proposti questi interventi si espone con chiarezza al paziente quanti e quali margini di fallimento rischia? Se qualche operatore (scrupoloso) tende a svicolare l’argomento trincerandosi dietro un reticente “al momento non c’è indicazione chirurgica”, vorrebbe forse dire “meglio lasciar perdere, rischiamo il fallimento”? Peccato che solo la seconda spiegazione sarebbe l’unica che consentirebbe al paziente una visione chiara del problema, delle conseguenze ed eventuali alternative. Peccato, poi, che la chiarezza esploda nell’anticamera della sala operatoria quando si firma il cosiddetto consenso informato in cui si prospettano con chiarezza tutti gli accidenti possibili (il famoso bugiardino dei farmaci). Non è solo una formalità, serve a cautelare chi lo scrive, non chi lo firma; una specie di ricatto (“se non firmi non ti opero e non guarisci”… che poi la guarigione, abbiamo visto, è una specie di roulette russa)
  3. Anche un 10% di fallimenti (ma il dato è certamente sottostimato) è eticamente e deontologicamente accettabile? Nel caso succitato 50.000 pazienti (o 200.000) sono pochi? Condannarli a dolore cronico, inabilità, non autosufficienza, ripetuti interventi e/o terapie varie, costose, inefficaci e dannose (dipendenze e altri scompensi), in solitudine e abbandonati anche dagli stessi specialisti che non amano confrontarsi con il fallimento, è umano? È etico? È sostenibile anche dal punto di vista economico individuale e collettivo? Certamente dopo la svolta “aziendalistica” (mercati, budget, management, ecc.) se ci convertiamo del tutto alla privatizzazione  sarà certamente possibile, ovvero: chi ha i soldi si cura, gli altri…pazienza.
  4. Preso atto dei margini risicati di successo, perché si continua su questa strada? È un gioco d’azzardo, una specie di Medical Gamblig? o si gioca a fare Dio?  Forse in medicina i “calcoli del cemento” si conoscono solo ex post, ovvero “prova che ti riprova” prima o poi si capirà qualcosa di più? Dire che serve a “far evolvere la scienza” è una verità o un paravento? E a vantaggio di chi? Hanno un ruolo le varie economie che vivono di questo: professionisti vari, strutture di diagnostica e di recupero, aziende di protesica e  farmaceutica, ecc.?
  5. E che ruolo hanno i pazienti comuni in questo Medical Gamblig? Testare e/o validare nuovi protocolli/procedure, quindi cavie? Sono palestra di allenamento per giovani virgulti prima di lanciarli in una brillante carriera in cattedra, riempire studi lussuosi, avere successo come star della tv, avere come testimonial uno sportivo famoso o un vip? E il giuramento di Ippocrate “primum non nocere”?

Ci sarebbero molte altre questioni aperte. Ma almeno qualche risposta (onesta) alle suddette domande sarebbe utile a ripulire un quadro a dir poco opaco. È vero, è dura accettare che la medicina non è una “scienza dura”, se non quando si accompagna alla chimica e a poche altre materie come, ad esempio la statistica, il cui uso però, come abbiamo visto, è spesso alquanto “disinvolto”, e non sembra apportare  una conoscenza oggettiva.

Concludiamo con un auspicio: qualche voce, magari proveniente da quella vecchia guardia che amava definire la professione una “missione”, dovrebbe dirlo chiaro e forte: NON TUTTO QUELLO CHE È TECNICAMENTE POSSIBILE È LECITO FARLO! (es. Neuralink), perché quando la tecnica e l’economia sovrastano e dettano legge all’etica l’umanità non ha più molta strada davanti.  

Dott.ssa Franca Grosso – Sociologa