Salute
Più sani, più longevi: il nuovo profilo dei pazienti talassemici
Sta cambiando l’identikit delle persone con talassemia.L’età media è cresciuta di 10 anni nell’arco di un decennio, la qualità di vita migliora. Merito di trasfusioni sicure, nuove terapie chelanti, “imaging” d’avanguardia che svela i pericolosi accumuli di ferro.
Attesi traguardi dalla terapia genica e cellulare per la guarigione,mentre tornano a nascere bambini talassemici. Equità d’accesso e prevenzioneper i migranti a rischio, le sfide per non considerare “superata” la talassemia.
L’età media aumenta, la qualità di vita migliora, le terapie e la ricerca aprono nuove speranze. È un nuovo identikit quello dei circa 7.000 pazienti talassemici italiani, tracciato in occasione della Giornata Mondiale della Talassemia, promossa l’8 maggio dalla Thalassemia International Foundation (TIF) e in Italia, anche quest’anno, dalla Fondazione “Leonardo Giambrone” per la Guarigione dalla Thalassemia.
Le persone con talassemia vanno a scuola, lavorano, si sposano, scelgono di fare figli, alcuni sono addirittura diventati nonni. Tuttavia la talassemia, malattia genetica ereditaria rara, endemica nel bacino del Mediterraneo, dovuta a un difetto genetico che compromette il trasporto di ossigeno nel sangue e porta l’emoglobina a valori incompatibili con la vita, resta una patologia seria, ancora inguaribile, sulla quale si concentrano gli sforzi della ricerca italiana e internazionale per offrire a questi malati una possibilità di guarigione.
“La talassemia non è ancora una malattia superata come vogliono far credere i media che spesso la considerano “normale” – a parlare Franco Mansi, Vicepresidente della Fondazione “Leonardo Giambrone” per la Guarigione dalla Thalassemia – purtroppo non è così, tanti giovani sono costretti a sottoporsi a continue trasfusioni di sangue, controlli e ad assumere farmaci chelanti del ferro. La Giornata è l’occasione per coinvolgere l’opinione pubblica e sensibilizzare tutti su questa dura realtà”.
L’evoluzione delle terapie, in particolare i farmaci chelanti del ferro di ultima generazione assunti per bocca, la possibilità di personalizzare le cure, la disponibilità di indagini diagnostiche, quali la Risonanza Magnetica per Immagini, stanno cambiando la malattia.
L’età media dei pazienti è adesso arrivata a 39 anni, con un incremento di ben dieci anni nell’arco di una sola decade. Cresce l’attesa di vita, attorno ai 40-50 anni. In passato difficilmente un paziente superava l’infanzia. Oggi invece un terzo dei pazienti ha più di 35 anni e i più anziani hanno tagliato il traguardo dei 60 anni. E si assiste alla ripresa delle nascite, per scelta dei genitori, segno di fiducia nel futuro e nella possibilità di una vita normale. “Dai primi dati ancora incompleti del Registro interregionale che, partito due anni fa, si chiuderà il prossimo giugno – sottolinea Adriana Ceci, Consigliere scientifico del Board della Fondazione Italiana “Leonardo Giambrone” per la Guarigione dalla Thalassemia e Componente del Pediatric Committee dell’EMA – è evidente lo spostarsi in avanti dell’età media dei talassemici, la presenza di una quota importante, 10%, di bambini talassemici sotto i 10 anni, la ripresa delle nascite e, infine, l’incremento del flusso migratorio che porta in Italia popolazioni particolarmente colpite dalla patologia che, come è presumibile, contribuiranno alla sua diffusione e per le quali i Servizi Sanitari Regionali devono cominciare a preparasi con piani di prevenzione”. L’impatto dei flussi migratori da Paesi dell’area mediterranea e asiatica è concentrato nelle regioni del Nord, dove l’incremento dei pazienti con emoblobinopatie è di circa il 40%.
In attesa dei risultati di diverse sperimentazioni di terapia genica e cellulare condotte dal Centro del San Matteo di Pavia, dal Centro dell’Ospedale “Cervello” di Palermo e dal Centro Microcitemie di Cagliari in collaborazione con il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, è importante potenziare la rete assistenziale e mantenere sotto stretto controllo le complicanze della malattia legate soprattutto alle continue trasfusioni, che comportano un accumulo di ferro nel sangue e in organi vitali come il cuore, nel fegato e nelle ghiandole endocrine. “I chelanti orali hanno cambiato totalmente la vita di questi pazienti. Basti dire che il primo farmaco chelante, la deferoxamina, introdotta negli anni Settanta, non essendo assorbibile nel tratto digerente, va somministrato per via sottocutanea lenta, costringendo il paziente a infusioni con pompa di 10-12 ore al giorno per almeno 5 giorni alla settimana. L’adesione alla terapia in queste condizioni è estremamente difficile – spiega Renzo Galanello, Direttore della 2a Clinica pediatrica e del Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologie dell’Università di Cagliari presso l’Ospedale Microcitemico ASL 8 di Cagliari. – Oggi un chelante orale, deferasirox, può essere assunto in monosomministrazione quotidiana, con un grande incremento della compliance. Questi chelanti possono essere usati da soli, in combinazione o alternati, e ognuno di loro ha un’azione diversa sui singoli organi: tutto questo consente di modulare la terapia sui bisogni e sulle complicanze del singolo malato”.
Oggi tutti i dati dei talassemici italiani sono inseriti in forma anonima e criptata, all’interno del Web Thal, un programma computerizzato sviluppato nel 1998, grazie ad un finanziamento di Novartis, dai Centri di Torino, Genova, Milano, Cagliari e Brindisi. Il programma consente la gestione quotidiana dei pazienti tramite cartella clinica elettronica. Tutti i dati salienti del malato vengono registrati permettendo di seguire negli anni la storia clinica del malato. Si tratta di un prezioso strumento di informazione per il medico e di comunicazione tra specialista e paziente. Consente inoltre lo scambio di informazioni cliniche tra i Centri e facilita l’elaborazione di protocolli di monitoraggio e di terapia e gli studi cooperativi.
Attualmente Web Thal è disponibile in 19 Centri italiani ed in 6 stranieri e contiene dati di oltre 3.000 pazienti.