Sociale
Reale e virtuale
All’inizio degli anni ’80 il poter parlare con un radiotelefono era una prerogativa di pochi italiani, per lo più politici piuttosto che grandi imprenditori. Scatoloni enormi fungevano da base porta batteria e il classico filo nero a coda di maiale innestava cornette ugualmente nere e ingombranti da mostrare con scarsamente dissimulato orgoglio al tavolo dei ristoranti tanto da essere osteggiate in molti di essi. Le parole, e la maniera del com’erano dette, erano ancora alla base di qualunque accordo, affare, trattativa: “Nel vino la verità” e gli imprenditori trascinavano a cena, tra avvenenti escort camuffate da improbabili mogli d’occasione, potenziali acquirenti cui propinare il pacco del secolo. Poi, man mano, è arrivato Internet subito seguito dai primi cellulari di generazione avanzata con un’attuale varietà di applicazioni che ti dicono com’è il tempo nella tua città trattandoti da perfetto ebete, non capace di riconoscere le nuvole a nembi cumuliformi dal soleggiato pieno. Gli ormai comuni smartphone hanno sancito l’avvento definitivo dei social network, ultimo modo di colloquiare da un minuscolo tastierino con persone perfettamente sconosciute dall’altra parte del mondo che magari, mentre tu sei all’ora di merenda, loro sono ancora nel pieno del sonno mattutino.
L’idea di una bella passeggiata in aperta campagna? La visita a una stalla dove assistere per caso alla nascita di un vitellino? Fra poco la tecnologia ci fornirà strumenti tascabili capaci di emulare gli odori in modo da darti l’ebbrezza dell’essenza di stalla che potrai godere, vedendo un relativo filmato, salendo in ascensore.
E intanto per strada si chiacchiera e gioca sempre di meno: pedoni alle prese col cellulare che attraversano davanti alle ruote di automobilisti altrettanto impegnati a mandare un sms per rispondere al quiz appena lanciato dall’autoradio.
Sono contemporaneamente – e manco tanto gradatamente – scomparsi dalla strada i palloni e le biciclette insieme a bambini e preadolescenti che sono ormai alle prese da venti anni col FIFA (senza peraltro riuscire a vincere mai un campionato); sono scomparsi gli strilli dei bambini e le urla degli adulti insofferenti associate alle secchiate d’acqua estive che servivano ad allontanare dai propri balconi orde di ragazzini chiassosi e scostumati.
E’ scomparso il mondo reale dei cortili soppiantato prima dalle stanze delle chat a tema e ora definitivamente sostituito da piazze grandi quanto il mondo rinchiuse in pc portatile, ove ognuno dice qualcosa (a volte anche molto seria) a centinaia se non migliaia di amici virtuali che mettono i “like”: ultima trovata di un mondo spersonalizzato, che se ne infischia dell’individuo e dei sentimenti in nome del comparire a tutti i costi.
Anche lo sport giovanile muore più velocemente di quanto la gente si accorga e le palestre sono solo il deposito bagaglio/bambino per un’ora durante la quale genitori stressati possono godersi un caffè con gli amici senza dover per forza comprare l’usuale e dannoso sacchetto di patatine fritta al pargolo para sportivo. Il mondo fugge veloce, ciò nonostante è a portata di click: basta andare in pizzeria per vedere quante persone, anche meno giovani, armeggiano con telefonini seminascosti aspettando una pizza, per fortuna lei ancora reale, fatta da amanuensi in giubba bianca come al tempo della regnante Margherita, parlando sempre di meno e allontanandosi progressivamente da una vita reale fino al secolo scorso.
Che il virtuale non ci rubi il tempo, l’educazione e la pizza in nome di una globalizzazione che sta sconfiggendo la più semplice e genuina socializzazione.
Mi perdonerete ma io al virtuale preferisco il reale, chiamatemi inguaribile ma provate voi a cliccare una coppetta gelato al pistacchio senza averla mai assaggiata con l’ausilio del più semplice cucchiaino.
Vincenzo Ciafrone
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