Approfondimenti
Salute e informazione: il BUGIARDINO
Alcune considerazioni semplici su salute e informazione partendo da quel foglietto contenuto nelle scatole di medicinale che negli anni è diventato un lenzuolino: ciò dimostra un’attenzione ai pazienti? O, come il consenso informato, forse tutela qualcun altro? Vediamo.
Intanto ogni persona che ha esperienza diretta o indiretta di malattia, può definirsi un EpE (Esperto per Esperienza, o Paziente Esperto) con un punto di vista riconosciuto anche da parte di agenzie autorevoli come gruppi di self help (anche del SSN) e perfino dalla fondazione di una casa farmaceutica.
Le osservazioni che seguono, pertanto, riflettendo esperienze vissute, possono ritenersi più che discutibili sensazioni o percezioni.
Parliamo del bugiardino, nome in gergo (e questo già dice molto) del foglietto illustrativo, come caso rappresentativo dell’informazione rivolta ai pazienti.
- Partiamo dal linguaggio che, a dispetto degli sforzi per sembrare comprensibile, i termini tecnici utilizzati non sono sempre alla portata di un utente medio; è quasi inevitabile, certo, ma allora perché si rivolge specificamente al paziente? Alcune decisioni è ovvio che non le può prendere lui…
- In genere nei bugiardini non si dice molto della malattia per cui il farmaco è stato prescritto, perché spesso viene utilizzato per diverse patologie anche molto diverse tra loro: quindi mentre la medicina è fortemente specializzata i farmaci sono aspecifici?
- Anche il nome della malattia non sempre è chiarissima dato che, ad eccezione di alcuni casi (come le malattie infettive che hanno un agente patogeno ben preciso, es. colera, tubercolosi, ecc), in genere si tende a definire la malattia con un nome che si rifà perlopiù il sintomo (es. cruralgia o sciatalgia = dolore-infiammazione al nervo crurale o sciatico, oppure gastralgia = dolore-infiammazione alla zona gastrica, ecc.); tacere della genesi delle malattie indica forse che le cause sono ancora oscure?
- L’efficacia di un farmaco è data dal suo “valore statistico”, cioè se risponde positivamente a studi condotti su individui (o cavie) sotto sperimentazione in doppio cieco; la percentuale di risposte positive non sarà mai del 100%, ma qual è la soglia superata la quale un farmaco è ritenuto efficace? Consultando il sito dell’agenzia del farmaco non appare chiaro; così come non è chiaro il criterio statistico utilizzato per effetti collaterali e tollerabilità. Nei foglietti, però, ne sono elencati in quantità, tra casi “rari e frequenti”, e/o “gravi – non gravi”. Ciò è quasi ovvio dato che ogni individuo è un caso a sé, quindi non è possibile generalizzare. Purtroppo, invece, è proprio quello che si fa dando a tutti i pazienti lo stesso farmaco, ma si avverte (il paziente!) di astenersi “se è allergico”. Come fa a saperlo? Dopo averlo provato a suo rischio e pericolo, ovviamente…
- E le malattie croniche? La medicina, diciamolo, ha gettato la spugna affidandosi unicamente all’eterna risorsa (refugium peccatorum) di cortisonici – antiinfiammatori – antidolorifici (anche oppioidi) e magari antidepressivi, scaricando così sul paziente la frustrazione di cure inefficaci (trovata davvero geniale!)
- Per non dire delle pubblicazioni di studi scientifici (utilizzati per la convalida di tesi ed esperimenti) la cui attendibilità, specie con gli attuali metodi algoritmici della rete, pare sia diventata altamente inaffidabile.
- Il quadro è completo se si considera che spesso (non sempre, per fortuna) la ricerca è finanziata e sostenuta da case farmaceutiche il cui scopo (più che legittimo) è vendere, non necessariamente curare e guarire.
Mi fermo qui ma si potrebbe continuare.
Senza tacere del ruolo straordinario di alcuni farmaci che hanno cambiato il volto della storia, ad es. la penicillina per la TBC si può concludere che:
la medicina (e la farmacologia) non sono una scienza esatta (come saremmo indotti a credere) e forse non sono nemmeno scienze nel senso che vorremmo (o ci piacerebbe fossero), cioè presidi di verità assolute.
Senza dubbio adottano il “metodo scientifico”, ma questo è sufficiente per definirle scienza? Secondo i filosofi della scienza questa strada è irta di interrogativi più che di certezze.
Forse sarebbe giusto ed etico (e più nobile) definirla un’arte, come suggerisce Ippocrate nel suo giuramento ancora praticato “Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte.”
Ma qualcuno forse potrebbe sentire sminuita insieme alla scienza la propria autorità.