Arte e cultura
Smisurato sapere e capacità di indignarsi.
Ho il dovere di chiudermi in casa nel mio spirito e lavorare quanto io possa e in tutto ciò che io posso, per il progresso della civiltà e l’allargamento della conoscenza dell’umanità.
Il poeta è un fingitore. Finge così completamente che arriva a fingere che è dolore. Il dolore che davvero sente.
Fernando Pessoa
Socrate, nel Teeteto, ebbe a paragonarsi non a un contenitore pieno di discorsi, da cui estrarre ciò che più poteva servire (161a-b), bensì a una LEVATRICE, che è sterile di sapienza, ma padroneggia l’arte di aiutare gli altri a partorire. Tuttavia, Socrate ci dice: «ho tenuto segreto di possedere questa techne, e gli altri, non sapendolo, dicono che sono il più strano e faccio aporéin (dubitare, impoverire) le persone». L’immagine della levatrice è così famosa che potrebbe non notarsi un aspetto: le idee sono come i neonati. Diffonderle, così come nel partorire, non impoverisce.
È risaputo (chi se la sentirebbe di dire il contrario?) come nessun figlio possa ritenersi oggetto di esclusiva proprietà materna. Alla stessa maniera non è possibile usare le idee. Esse sono un bene immateriale, ben diverse da ogni altro bene, anche del denaro, ma possono e devono circolare. Conseguenza della circolazione: così come accade ai bambini, che possono crescere solo in piena libertà, seppure sotto il vigile affetto di chi li ha voluti, le idee devono essere lasciate crescere e moltiplicarsi parlandone. Non è un caso, dunque, se Teeteto, alla fine di un dialogo poco importante, dice: «… tramite te ho detto molto di più di quanto avessi in me.» (210 b) Tutto ciò è legato, dunque, al fatto che dalla circolazione delle idee possono nascerne altre straordinarie e diventa secondario attribuirne la maternità. E non bisogna mai esserne invidiosi, considerato che tutti ne possiamo risultare arricchiti.
Ci è accaduto di arricchirci mille volte, rispetto al nostro infinito pozzo di ignoranza, mai colmo; lo diciamo giacché è una verità sentita e la realtà non deve mai essere negata. Ne abbiamo tratto anche una convinzione: certi artisti, se avessero voluto fermarsi al sé, se avessero voluto pensare a gonfiare il proprio ego, avrebbero fatto altro, finendo per accumulare vile danaro. Lo smisurato sapere del titolo è legato a una esigenza atavica dell’uomo: comunicare in forma duratura, in maniera slegata dal principio, sapendo che la fine non ci sarà mai. La parola fu ed è già una forma di comunicazione duratura e il Pessoa ci insegna: «I libri ci danno un diletto che va in profondità, discorrono con noi, ci consigliano e si legano a noi con una sorta di familiarità attiva e penetrante.»
E siamo, come si può intuire, in presenza della parola scritta; è il grafo, che in Cina è già Opera d’Arte in sé. Il salto verso l’illustrazione lo si potrebbe collocare in epoca addirittura precedente: esempi ne sono le incisioni rupestri ancestrali, che risalgono alla comparsa dell’Homo sapiens. Esempi più recenti sono i segni scavati nella roccia, con gran sudore della fronte, mediante vari strumenti, ma poteva bastare la punta di ossidiana, a cui era stata data la forma di scalpello. Qualcuno si spinse fino al punto di aggiungerci il colore: possiamo ancora ammirarli, a esempio, in Marocco, in Arizona, in Giordania, in Algeria, in Italia, ovviamente, e in mille altri luoghi.
È così; così è l’uomo: non conosce confini, nulla lo arresta davvero nel cammino verso una dimensione finalmente libera e priva di condizionamenti che sola può portare al benessere.
Forse che Bernini, da anziano, si fermò di fronte al lungo viaggio che avrebbe dovuto affrontare per riprogettare il Louvre? La risposta si potrebbe gridarla: NO.
Ma da dove veniva Gian Lorenzo Bernini? Veniva da Napoli. Quale sangue scorreva nelle sue vene? A noi verrebbe di dire: umano. Non crediamo abbia contato molto il fatto che il padre fosse toscano e, per giunta, anch’egli scultore e pittore. Contarono molto di più i vicoli di Napoli.
Altra domanda: Cosa produsse a Parigi? Risposta: produsse il busto di Luigi XIV, varie crocifissioni, verificò e integrò i tre progetti per il Louvre … altre opere che qui non rilevano.
Ma del suo vero capolavoro non vi è traccia se non nel Diario di Viaggio scritto da Paul Fréart de Chantelou: fu la capacità di indignarsi, di ribellarsi. Non accettò di essere trattato in maniera non adeguata alla grandezza di cui era conscio. Non a caso sottolineò che per produrre certe opere aveva cacato sangue. L’ espressione, testuale, ce lo riconsegna nella piena napoletanità che lo contraddistinse.
Stesso atteggiamento abbiamo trovato nel Maestro Francesco GUERRIERI che ha saputo negare l’adesione all’invito di Vittorio Sgarbi, per partecipare a una Biennale di Venezia, quella del 150 anniversario dell’Unità d’Italia, che gli è parsa arraffazzonata e non rispettosa dei suoi cinquanta anni spesi dando tutto all’Arte, anche con l’intervento costante e a stretto gomito della sua sposa Lia DREI, nel tentativo di aprire le menti umane, producendo segni concreti della loro genialità.
Avevano ragione tutti e tre.
Alessia e Michela Orlando