Approfondimenti, Studi e Ricerche
Social media e privacy
L’era di internet ha operato una vera e propria rivoluzione nel campo della comunicazione, aprendo scenari del tutto inediti. La società e le normative non riescono ancora a coglierne tutti gli aspetti e a regolamentarli. Grande questione ancora aperta è quella della privacy, nonostante la mobilitazione burocratica che, per ora, non ha nemmeno scalfito questo ambito. Quando infatti usiamo le fidelity card nei negozi (farmacia, supermercato, ecc.) in effetti “cediamo”, più o meno consapevolmente, anche milioni di dati, anagrafici ma non solo. E’ così che le aziende acquisiscono dati su consumi, preferenze, importi di spesa, ecc. molto utili anche per orientare i gusti ed elaborare strategie di marketing.
Ulteriore prova sono le finestre pubblicitarie che si aprono quando navighiamo sui siti web, qualora ci incuriosiscano e le apriamo, poi ce le ritroviamo anche in altre navigazioni.
Ma l’apoteosi avviene nei social network dove noi stessi dichiariamo con i vari post, i like, o i link condivisi le nostre preferenze o nostre informazioni, talvolta rischiose anche per la nostra sicurezza. Con un banale selfi alcuni camorristi si sono praticamente autodenunciati, e se ci casca un mafioso dobbiamo ammettere che il rischio di essere sopraffatti dal mezzo è più che reale.
Di questo fenomeno così nuovo e ancora non compreso a pieno, si stanno però interrogando molti pensatori, saggisti, sociologi. Da Z. Bauman a Andrew Keen ed altri si tende a fare un parallelismo tra facebook, tweet, whatapp e gli altri social al Panopticon una tipologia di struttura carceraria molto particolare. Ideata dal filosofo Jeremy Bentham nel lontano 1791, e poi ripreso dal sociologo M. Focault (1975) nella sua opera “Sorvegliare e punire” il panopticon rappresenta l’idea base del “grande fratello” orwelliano, cioè colui che tutto osserva e controlla, senza essere visto. Infatti la struttura architettonica del carcere attraverso un sistema di finestre, luci, posizionamento delle celle e della postazione del sorvegliante, faceva sì che un unico sorvegliante fosse in grado di controllare, non visto, tutti i detenuti. Ecco, se ci si riflette bene, è quello che accade quando creiamo un account sui social, ma lo facciamo in piena libertà, non costretti ed anche del tutto inconsapevoli dell’uso che altri faranno dei nostri profili.
Infatti questi profili sono oramai la fonte primaria di informazione per giornalisti e/o investigatori per acquisire foto, dichiarazioni, e molto altro che senza FB non sarebbe possibile ottenere.
Il fatto è che la struttura stessa del social mette l’individuo in una condizione per cui si passa rapidamente da un ambito privato e privatissimo, quando ad esempio comunichiamo con gli amici, ad uno pubblico con i post e i like o le foto pubblicate. Il tutto senza soluzione di continuità. E così dalla poltrona di casa si passa direttamente ad una tribuna planetaria in un istante e senza rendersene conto.
Su Limes di novembre 2014 Dario Fabbri sostiene che infinite possibilità e rischi sono connessi all’uso dei server di posta e ai social network, tanto che possono rappresentare “un’arma non convenzionale” con cui indagare sui cittadini e “prevedere i fenomeni sociali dell’intero globo terreste”. Lo stesso Fabbri fa il caso della NSA (National Security Agency) denunciato da Edward Snowden. Purtroppo però il caso è stato molto sottovalutato e forse volutamente. Scrive, infatti Fabbri: “In Italia, paese che vanta quasi 20 milioni di utenti FB, lo scandalo si è ingenuamente tradotto in un (brave) dibattito incentrato sulla privacy degli internauti, che ha tralasciato del tutto le ramificazioni strategiche del fenomeno”.
Vengono in mente le tante storie dei romanzi e del cinema di spionaggio, oggi le attività di quegli agenti avrebbero un enorme vantaggio intercettando le mail o consultando data base e i profili social.
Infatti Z. Bauman in Stato di crisi, scrive: “ Se un tempo i servizi segreti dovevano raccogliere informazioni relative alla posizione e al modus operandi dei potenziali “elementi pericolosi” (…) ricorrendo a sforzi strenui e a ingenti spese per il Tesoro dello Stato, oggi possono limitarsi alla gestione di un immenso “data base”(…). Che tali informazioni rimangano immagazzinati per sempre e possano essere utilizzate in qualunque momento contro i nostri interessi è per il momento un segreto noto a tutti, che tuttavia non diminuisce il nostro zelo ad autospiarci, né riduce, e tanto meno interrompe, il flusso di informazioni in arrivo ai file conservati negli uffici della difesa del Leviatano”.