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Sto sotto le stelle e aspetto – Il sapore di un desiderio
Arrivederci Cristina, ci vediamo lunedì prossimo.
La accompagno alla porta e mi gusto il ronzio dei pensieri che ancora scorrono freschi, ho un quarto d’ora, mi dirigo verso il bollitore e in men che non si dica l’acqua raggiunge la temperatura, non ho quasi il tempo di scegliere quale bustina di the concedermi, vado sul classico per non sbagliare e, immergendo la bustina di earl grey, rinnovo il proposito di non percorrere scorciatoie, di voler riporre il bollitore in soffitta e di aspettare il tempo che l’acqua bolla, così da avere modo di capire che fragranza di the ho voglia di gustare con pace. Bergamotto, frutti rossi, vaniglia, cosa voglio, cosa desidero..
Sorrido, mi accorgo che sto trascinando un vissuto dalla seduta precedente, e nel vapore del the ripercorro le dinamiche appena vissute.
Cristina non sapeva chi fosse, è venuta qui per scoprirlo.
Tutto quello che sapeva era di essere stata scaricata dal marito, di non riuscire ad agganciare i suoi alunni, di stare ferma a leggere o a correggere i compiti, di stare seduta a tavola, di dover impegnare la giornata incastrando gli impegni per non avere un attimo in cui fermarsi a.. sentire..
Così, nel mio studio, i lunedì degli ultimi tre mesi ha iniziato a parlare con se stessa, ha accettato di ritrovarsi in dialogo con un’altra sé seduta sulla sedia vuota, talvolta si è messa nei panni del marito, un’altra volta ancora in quelli di un uomo appena conosciuto. Ha iniziato a soffermarsi su di sé, sui propri bisogni, scoprendo nel mondo indizi di piacere, gustandosi di percorrere le giornate in veste di gatto, lasciandosi guidare dal mi piace o no…, zittendo la testa, la madre, la collega severa che spaventa alunni e colleghe, voci che popolano la sua giornata, voci che albergano in una mente che sta areando le stanze.
E che oggi, ricalcando una dinamica accaduta in sala insegnanti, si ritrova a riflettere su che differenza ci sia tra desiderio, aspettativa, pretesa..
Le chiedo di immaginare che sapore ha ciascuno di essi per lei.
C: La pretesa ha sapore di diritto. È il sapore delle carote cotte che mi obbligavano a finire nel piatto, le carote mi sanno di aggressività, di diritto: non mangiarle adesso è come togliere a qualcuno di avere qualche diritto su di me.
Una volta immaginata la pretesa, la invito a richiamare alla mente un episodio dove la pretesa è stata protagonista.
C: La settimana scorsa sono arrivata nera a scuola perché il mio treno delle 7 aveva 40 minuti in ritardo, ed io me la sono presa talmente tanto con il capotreno, con le ferrovie, con lo stato intero..
S: che non hai neanche pensato a come rendere più piacevole quella mezz’ora.
C: Esatto! Avrei potuto leggere un romanzo, dare un’occhiata ai compiti dei ragazzi, magari fare quella telefonata…
S: Invece l’aspettativa cosa ti dice?
C: L’aspettativa è stare ore col telefono in mano ad aspettare una telefonata di mio marito.
S: Come dire un mettersi in una posizione di attesa nei confronti di qualcosa, qualcuno, che è posta fuori da me. Prova ad immaginare la Cristina di allora, cosa avresti potuto fare per sentirti meglio?
C: Un desiderio?
S: Sai cos’è un desiderio? Desiderio viene da De sideribus… I Desiderantes, in epoca antica, erano i soldati che stavano sotto le stelle ad aspettare quelli che dopo aver combattuto durante il giorno, non erano ancora tornati al campo..
C: Un po’ quello che facevo io, no? Stavo tutta la notte ad attendere…
S: Il desiderio è una richiesta che mette in conto che l’altro possa non esaudirla.
C: Ha già un sapore che mi piace, potrebbe avere sapore di un invito per un caffè, qualcosa che se si prende assieme è più buono.
S: Prova ad immaginare di poter esprimere un desiderio adesso.
C: (Rivolta al suo ex marito) Mi piacerebbe uscire a prendere un caffè assieme, vorrei che facessi la conoscenza di Cristina, una giovane donna che sto conoscendo ultimamente e forse può piacerti tanto quanto sta piacendo a me.
Simona Corsi – Psicoterapeuta