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Vaccini: diritti e doveri
Il tema “vaccinazioni” è uno di quelli che danno il via a un immediato vespaio di polemiche appena si va fuori dal “solco tracciato” correndo il rischio di essere tacciati di apostasia e scatenando il classico grido “dagli all’untore!” , (vedi la bufera scatenata dalla puntata di Report del 17 aprile scorso).
Soprattutto per questo motivo non voglio addentrami in speculazioni scientifiche, o pseudo tali. Pertanto mi asterrò riguardo a benefici, costi, business delle case farmaceutiche, rischi, reazioni avverse, ecc. Questa riflessione, invece, è orientata su un tema di metodo e di principio che riguarda la ventilata stretta sulla obbligatorietà. E’ un tema a mio avviso delicatissimo. Alcune Regioni la attuano anche per consentire l’accesso alle scuole, e al riguardo, in questi giorni, il Ministro dell’Istruzione ha sollevato qualche dubbio.
Il punto è che: il principio della libertà del singolo per la cura della sua salute (autodeterminazione terapeutica), si scontra con quello della sicurezza e incolumità della collettività. Vero: chi non si vaccina è un pericolo per sé e per gli altri. Ma è l’unico caso? No, allora vediamo come ci si è orientati in altri casi.
Il più eclatante è la malattia mentale. La legge 180 del 1978 (Legge Basaglia) sulla salute mentale ha chiuso i manicomi e giocoforza ha dovuto affrontare questo tema facendo non solo giurisprudenza ma anche storia: una vera rivoluzione.
Chi più di un malato psichiatrico in stato di grave agitazione può costituire un “pericolo a sé e agli altri”? Per questo motivo si internavano, spesso per tutta la vita, i malcapitati in quel lager che è il manicomio. Chiuso il manicomio che si fa nei casi di grave agitazione e quindi di pericolo? Il problema era delicato, spinoso, ma non lo si poteva evitare. L’estensore della legge, Franco Basaglia, lo trattò con la giusta cautela ed attenzione.
Liberato dalla costrizione della reclusione forzata al paziente psichiatrico vengono restituiti tutti i diritti e le tutela dei cittadini non malati che la reclusione gli aveva negato, dalla libertà fisica all’autodeterminazione delle cure. Solo in alcuni, rarissimi momenti, è possibile sospendere momentaneamente questi diritti, obbligandolo alla cura, quando cioè il paziente non è in grado di intendere e di volere. Come? Con lo strumento del T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio) che gli consente di essere curato nonostante la sua incapacità momentanea di darne il consenso. La cura, quindi, è a sua tutela non contro di lui: un diritto non un dovere. La procedura del T.S.O. è volutamente non semplice ed immediata, per far sì che non si abusi della vecchia e facile formuletta (“si interna in quanto pericoloso a sé e agli altri” a disposizione di un qualsiasi medico) prevedendo anche la firma del sindaco, massima autorità sanitaria. In questo caso la burocrazia è pensata al servizio del cittadino, non sua nemica.
Ora, lo confesso, non trovo nessuna di queste cautele pensate per i malati psichiatrici, quando nella stretta sulla obbligatorietà dei vaccini la si propone come requisito d’accesso alle scuole. Mi chiedo: di questo passo dove si potrà arrivare? Obbligare anche chi non volesse curarsi – vaccinarsi contro l’influenza? O per un raffreddore o un tumore? Seppure non un “pericolo per la collettività” sarebbero un cattivo esempio. Gli si potrà sospendere l’assistenza sanitaria o l’accesso ai pubblici uffici? Ritengo che quando un diritto lo si trasforma in dovere diventa qualcos’altro.
I tempi sono cambiati, non c’è più un Basaglia con le sue cautele a far da sentinella. E confondere diritti e doveri è un sintomo poco confortante per una società matura.